Oggi è il trentesimo compleanno di Kantemir Balagov, regista che ha già lasciato, nonostante l’età, segni profondi nel panorama del cinema russo e internazionale. Per festeggiare insieme a lui ripercorriamo la sua carriera dagli albori fino alla realizzazione delle due opere che lo hanno consacrato: Closeness (Tesnota, trailer) e La ragazza d’autunno (Beanpole, trailer).
Balagov già in tenera età dimostra una forte passione per il cinema. Durante l’adolescenza inizia a realizzare dei cortometraggi insieme ad alcuni amici, ma la sua formazione vera e propria comincia con la generosa concessione da parte di Aleksandr Sokurov di seguire un suo laboratorio presso l’Università statale della Cabardino-Balcaria “Ch. M. Berbekov”. Sokurov, uno dei pilastri più importanti del cinema russo, durante il suo insegnamento evitava di far visionare le sue opere agli studenti al fine di allontanarli dal mero mimetismo. Balagov, dopo aver collaborato per una sceneggiatura di un’altra allieva del maestro russo, debutta col suo primo lungometraggio Closeness. Il film in questione è nato dall’essenziale contributo finanziario di Sokurov.
Traendo spunto da un’esperienza vissuta nella sua terra, Balagov segue le vicende di una famiglia, in una società dove i sentimenti di solidarietà e fraternità sono irrigiditi da un sistema occluso che accoglie solo egoismo e tradizione, frutto di un conflitto sospeso tra due Stati, ma pronto a scatenarsi. E’ il 1998, a Nal’čik, capitale della Repubblica Autonoma di Cabardino-Balcaria, una famiglia ebrea è vittima di un atto di rapimento: il figlio David (Veniamin Kats) viene rapito insieme alla sua fidanzata (Anna Levit) nella sera stessa dell’annuncio del loro matrimonio. Il costo del riscatto sarà molto alto e ciò graverà ancor più sulla figlia Ila (Darya Zhovnar). In un ambiente scosso e deturpato, in un anno che regala solo una brevissima tregua dalla guerra tra russi e ceceni, una piccola comunità ebraica convive, con costante tensione, assieme ad un’eterogeneità di religioni ed etnie.
E’ ammirevole la maturità registica che Balagov dimostra già con Closeness e altrettanto lodevole è l’umanità che esprime nel raccontare storie che hanno come protagoniste donne, vittime incapaci e impossibilitate ad esprimersi liberamente, costrette a minimizzare la propria vita per via di costrizioni sociali, ma che godono di un coraggio e di una forza di volontà invidiabili. Grandiosa è la performance di Darya Zhovnar nel figurare una ragazza che è in perenne battaglia col mondo esterno ed interno alle mura domestiche, con pochissimi appigli di speranza.
Il formato scelto di 4:3 limita la visione rendendola claustrofobica e asfissiante, per mezzo anche di numerosi primi piani, esemplificando la chiusura mentale e sociale che Ila è costretta ad affrontare. In Closeness si evince già l’interesse di Balagov nel raccontare parti di storia della sua terra con la massima autenticità possibile. Un esempio è la scelta coraggiosa (e non per tutti gli spettatori) di aggiungere un filmato reale di torture a soldati russi durante la guerra in Cecenia. Ciò ha fatto esplodere fiotti di critiche, ma per molti ha avvalorato ulteriormente l’opera.
Il regista russo è attento a ricavare dai suoi attori tutto il loro potenziale, concentrandosi su espressioni facciali e movenze del corpo, una peculiarità del suo stile che noteremo con più evidenza nel suo successivo lavoro La ragazza d’autunno. Premiato al festival di Cannes del 2019 coi premi FIPRESCI e miglior regia nella sezione “Un Certain Regard”, La ragazza d’autunno conferma nuovamente, dopo il successo del suo film di debutto Closeness (anch’esso premiato col FIPRESCI), il talento di Kantemir Balagov. Egli non si è mai interessato di ottenere il consenso del pubblico. I numerosi rifiuti da parte dei produttori non hanno impedito alla giovane promessa del cinema russo di essere riconosciuto attraverso i festival.
Ispiratosi ad uno dei racconti dell’opera La guerra non ha il volto di donna di Svjatlana Aleksievič, ne La ragazza d’autunno Balagov si allontana sensibilmente dal cinema tradizionale russo in cui la guerra è l’epicentro e l’intento è patriottico. Seguendo le vicende di due donne sopravvissute agili orrori degli scontri bellici, il regista ritrae una Leningrado sfinita e decimata dalla Seconda Guerra Mondiale. Al termine del conflitto, nel 1945, Iya (Viktoria Miroshnichenko), donna di elevata statura, reduce e con un problema post traumatico che la paralizza momentaneamente, si impegna a prendersi cura del figlio (Timofey Glazkov) della sua amica Masha (Vasilisa Perelygina) rimasta al fronte. Di ritorno, Masha dovrà fare i conti con un evento che, verificatosi in sua assenza, segnerà viepiù la vita di entrambe.
Sceneggiata da Balagov e dallo scrittore russo Aleksandr Terechov, quest’ultimo (per ammissione del regista) essenziale nelle fasi iniziali di realizzazione, la maggior parte della storia delle due protagoniste si snoda all’interno dell’ospedale in cui lavorano dopo la fine del servizio di leva. Sullo sfondo di una Leningrado corrosa e algida, che tenta di riprendersi in tutti i modi, Iya e Masha vivono una serie di esperienze utili ad aprire una serie di tematiche come l’amore e le sue diverse sfumature, l’eutanasia e la discrepanza tra ricchi e poveri. Un annichilimento generale permea l’atmosfera dell’ospedale e i dialoghi ridotti e succinti lasciano spazio ad un vivo silenzio tra flebili sospiri e cigolii del pavimento. Tra le macerie della città, ognuno prova a riedificare una nuova vita e quello che nasce in Masha è un desiderio difficilmente coercibile, eco di una guerra conclusasi, ma che ha disseminato ferite insanabili. L’utilizzo di piani sequenza e della camera a mano esemplifica maggiormente i momenti più intimi e personali delle due donne, aiutandoci ad osservarle e a comprenderle, ma soprattutto a compatirle.
Il legame tra le due protagoniste di affetto e astio, complicità e asservimento, speranze e disillusioni, sembra riprendere lontanamente Thelma & Louise di Ridley Scott, ma anche Persona di Ingmar Bergman: dal cult di Scott l’aura di morte che attanaglia la storia, ma motore pulsante dell’impianto narrativo; dal celeberrimo film di Bergman la sobrietà stilistica, con situazioni di stasi e la reciproca identificazione tra le due protagoniste, assoggettate da un rapporto di repulsione e attrazione. Non si deve dimenticare la presenza di alcuni stracci di ilarità e black humor, tratti probabilmente da Tarantino: i primi esperimenti audiovisivi che Balagov realizza da adolescente sono testimonianza di un fascino che ha da sempre covato il regista russo per il cinema tarantiniano.
Il film pone l’attenzione non tanto sulla frenesia di emozioni e sensazioni, quanto sull’obbiettivo prefissato di pochi individui: cercare un motivo per continuare a vivere. L’ambiguo affetto che si crea tra le protagoniste pone una più alta sensibilità sulla sopravvivenza al dolore, al fine di forgiare uno scopo che non renda il tutto vano. La convivenza e le relazioni umane non passano in secondo piano, bensì impreziosiscono il dipinto di un’umanità che persegue i propri desideri pur di regredire in azioni amorali e abbiette. Molto probabilmente è per questo che Balagov ha deciso di non divagare su indizi storici evitando cenni ad eventi caratterizzanti quel periodo. In aggiunta, si può evincere come la componente comunista, immancabile per quei precisi anni, sia quasi del tutto assente.
La cinematografia della talentuosa e giovane Ksenija Sereda concede allo spettatore non solo uno sguardo al netto divario tra miseria e agiatezza delle classi sociali, ma anche la possibilità di cogliere più facilmente gli stati d’animo dei personaggi seguendo una struttura che fa cenno al pittorialismo. Una fotografia eloquente che si serve principalmente dell’accostamento di due colori, il rosso e il verde. Un abbinamento che talvolta stride e sovente si sostituisce al dialogo evocando molteplici sensazioni. In alcuni momenti la fotografia sembra richiamare la pittura olandese e in altri casi la pittura espressionista tedesca. In quest’ottica, esemplare è la rappresentazione della dimora dei ricchi, candida, di un candore quasi accecante e immacolato, in contrasto con la plumbea Leningrado, tantopiù con gli interni dell’ospedale. Eppure, nonostante la divergenza cromatica che potrebbe ingannare, la sofferenza viene condivisa da ambo le parti, tra ricchi e poveri, tutti ne risentono indistintamente.
È chiaro come Balagov abbia avuto una più ampia libertà espressiva grazie ad un budget più generoso. Closeness è stato realizzato con un budget veramente modesto, ma la capacità di Balagov di muoversi abilmente nonostante i finanziamenti non del tutto cospicui, giustifica ulteriormente il successo della sua figura. Il fatto di prendere come riferimento le donne, veterane e reduci di guerra, glorifica La ragazza d’autunno come unico nel suo genere. Una donna che imbraccia un fucile, che mette piede sul campo di battaglia, che massacra altri uomini, è una figura che difficilmente si può immaginare e raramente l’abbiamo contemplata al cinema. Aleksievič raccoglie le più disparate esperienze belliche tutte al femminile, Balagov mette in scena due donne le cui personalità, quelle vere e autentiche, sono state debellate e probabilmente perse per sempre. La ragazza d’autunno offre un microcosmo che si fa universale, un dramma umano che vediamo passato, ma che lo percepiamo oggi e lo vivremo per sempre. In fondo si comprende come l’amore espresso in qualsiasi forma riesca ad acquisire un valore salvifico, e come la guerra non possa, e non debba avere, il volto di donna.
Al momento Balagov è alle prese con l’episodio pilota della serie The Last of Us targata HBO tratta dall’omonimo videogioco. All’opera troviamo importanti nomi: alla scrittura Craig Mazin (Chernobyl) e Neil Druckman, il direttore creativo del videogioco; Gustavo Santaolalla lavorerà nuovamente per la colonna sonora, avendo regalato forti emozioni in precedenza per i due capitoli nell’esperienza videoludica.
Closeness e La ragazza d’autunno sono entrambi disponibili su Amazon Prime Video.