Juniper – un bicchiere di gin, la recensione: giocare a conoscersi

Juniper - un bicchiere di gin: recensione film di Matthew J. Saville

A molti piace il tramonto. L’alba, invece, è per pochi. Alzarsi dal letto ogni mattina per contemplare la blue hour è un atto di determinazione. Lo è per Ruth (Charlotte Rampling), un’anziana che ha dato la sua vita alla fotografia, ora costretta sulla sedia a rotelle. Per lei non c’è nessun “oltre il cortile” da indagare. La cattura la luce che colpisce il suo giardino nella campagna neozelandese in quel momento della giornata, prima che il sole troppo forte lo palesi disordinato e fuori controllo. Anche in questo caso, però, le braccia di qualche ragazzo sapranno fare ordine, in cambio di qualche cassa di alcol.

Al debutto con Juniper – un bicchiere di gin (trailer), Matthew J. Saville indaga le regole del gioco tra una nonna e un nipote che si conoscono, purtroppo o per fortuna, fin troppo tardi. Dopo l’assenza fisica e affettiva per anni nei confronti del figlio Robert (Marton Csokas) e del nipote Sam (George Ferrier), Ruth sceglie di tornare da loro in Nuova Zelanda per la sua malattia. Per l’occasione, vuole soggiornare proprio nella stanza dove è morta, qualche tempo prima, la mamma di Sam. Lui, già in evidente depressione, costretto ai lavori riabilitativi in collegio dopo aver aggredito un compagno durante una partita di rugby, viene lasciato da solo dal padre che, per lavoro o per amore, parte per l’Inghilterra.

Juniper - un bicchiere di gin: recensione film di Matthew J. Saville

Nei giochi come nei rapporti umani, non barare è la prima delle regole. Ad annacquare il cocktail a un’anziana alcolizzata, che ha passato la sua vita a fotografare in guerra, c’è il rischio che ti colpisca un bicchiere in fronte. Come in battaglia, fare tabula rasa può permettere una tregua. Magari davanti a un bicchiere di gin, o forse qualcuno di troppo. Grazie all’alcol, Ruth e Sam possono avere una conversazione decente e permettersi l’un l’altro di entrare nelle proprie vite. Purtroppo, il cambiamento nel loro rapporto è così improvviso da non sembrare credibile. Gli occhi agguerriti e la spietata sregolatezza cedono il passo alla tenerezza e alla comprensione dell’altro senza che ci siano delle basi solide. La verve ironica di Charlotte Rampling, che non perde di efficacia neanche quando deve deporre le armi e lasciarsi abbracciare per ballare un lento, fa da collante a un materiale tanto dolce quanto idealizzato.

Consapevole di non riuscire più a stare in piedi da sola, Ruth riconosce i suoi errori ed è pronta a regalare spensieratezza a Sam. Ma, in fondo, resta sempre sé stessa. A cedere un po’ di alcol a suo nipote e ai suoi amici, ci guadagna un giardino di nuovo in ordine, pronto ad accogliere l’ultimo party della sua vita, con musica, giovani e qualche tiro di canna. Al tramonto della sua esistenza, lei è disposta a tutto per vedere di nuovo l’alba. Sam, ancora giovane ma con già troppi rimpianti, non può che accontentarla per ricevere un po’ di attenzioni e godersi, finalmente, una nonna che sa sparare al piattello e che regge così bene l’alcol. Non c’è perdono perché non c’è nulla da perdonare. Il tardo incontro tra Ruth e Sam è l’unica occasione che hanno per giocare insieme. Meglio tardi che mai!

Al cinema dal 3 ottobre.

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