Che Joker abbia monopolizzato le discussioni di stampo non solo cinematografico, e che continuerà a farlo ancora, è sotto l’occhio di tutti (perlomeno fino alla prossima uscita di The Irishman, terzo tassello stagionale di un prestigioso podio non numerato insieme anche a C’era una volta a… Hollywood). Come è inevitabile che sia, il portato di opinioni che vorticano attorno al film di Todd Phillips assume contorni spesso pittoreschi e si nutre della necessità intrinseca di soverchiare, aggiungere, scavare più a fondo e decostruire interpretazioni e visioni altrui, nell’eterna ricerca di una verità più ultima delle altre. Per chi ama il cinema film come Joker rappresentano un paese dei balocchi durante e, soprattutto, dopo la visione. Chi ama il cinema dovrebbe tuffarsi in questa bolgia carnevalesca di articoli, commenti ed insulti moltiplicati in ogni forma e contesto grazie a quelle schizofreniche casse di risonanza che sono i social (purché se ne discuta). Rimane il bisogno di calibrare coscienziosamente i propri interventi senza la frenesia di unirsi al coro solamente in virtù del fatto di voler accarezzare l’oggetto scintillante, ma raccogliere l’invito lanciato da film come Joker è un diritto, se non un dovere. Le nuove generazioni, alle quali appartiene anche chi scrive, nate atrofizzate e private del seno dell’idealismo, dovrebbero solamente gioire del fertile scontro che attecchisce in terreni come questi, poiché chiamate, nuovamente, a creare i propri miti, combattere le proprie battaglie e scegliere i propri capolavori (chissà che non ci sia un leggero tremito nella Forza).
E la pellicola vincitrice del Leone d’Oro all’ultima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia sembra aver azzeccato in pieno il tempo di inserimento nell’attuale panorama culturale e sociale. La mole di testi e sottotesti rintracciabili nel film è oggetto di analisi e approfondimenti in ogni angolo del web. Discutere della validità effettiva o meno del film qui ci interessa davvero poco, perché di per sé già fisiologicamente opinabile, e poi secondario nell’offrire lo spunto di riflessione su quali leve abbia tirato il lavoro di Phillips per trovarsi così tanto nell’occhio del ciclone.
Un primo, spinoso nucleo è quello che ruota attorno ad un discorso di natura prettamente cinematografica: Joker è un cinecomic? Già da questa semplice domanda fiumi di inchiostro (virtuale) sono stati versati per inondare di parole i detrattori di una visione o dell’altra. C’è chi dice di sì, c’è chi dice di no, e quasi tutti rispondono non tenendo a mente un’associazione (erronea alla radice) divenuta automatica quando si utilizza la parola cinecomic, ovvero quella di legare il termine ai prodotti dei Marvel Studios, detentori di un monopolio immaginativo per quanto riguarda l’intrattenimento di matrice supereroistica. Questo re-semantizzare la parola, favorito, e maliziosamente ricercato, nel corso degli oltre dieci anni di lavoro nel Marvel Cinematic Universe, ha finito per scorporare dal termine il suo reale significato di “tratto da un fumetto” e conferirgli nuovo valore nel configurarsi come un nuovo genere, con i suoi stilemi, linguaggi ed estetica.
Quella del cinecomic è però una posizione estremamente delicata nel palcoscenico cinematografico, che ha visto, spesso e volentieri, rigettare il genere (perché di questo si tratta, di un genere) e considerarlo come una branca altra al cinema stesso. La conseguenza è quella di traslarlo da un “cinema reale” a un “cinema posticcio”. Le recenti affermazioni di Martin Scorsese (il terzo modello sul podio all’inizio di questo articolo) non hanno fatto altro che confermare la concezione-scissione con tutte le indignazioni del caso. E’ anche vero che è opportuno riconoscere il carattere, in più di un’occasione, sovversivo della “fanbase” Marvel, più interessata nel compattarsi attorno alla propria regina madre, e quindi rendersi cellula a sé stante fiera della sua esclusività, piuttosto che favorire l’ingresso al gran gala del cinema.
Alla luce di questo complesso scontro, che difficilmente vedrà la fine a breve, è ovvio come la collocazione o meno di Joker nel genere cinecomic, in questo preciso momento storico, nasconda in realtà la necessità di comprendere il valore ideologico (e politico) da associare al film. Di rimando, una sua possibile nobilitazione. E’ un modello alternativo al marchio Marvel che vuole avvicinarsi al “cinema vero” o è “cinema vero” travestito da clown? La vittoria a Venezia, negli ultimi anni precursore dei premi della Academy, checché se ne dica, rappresenta già un significativo responso al quale potrebbero fare eco altre importanti voci. Sarà interessante stare a vedere gli sviluppi della polemica perché anche da qui passano i rapporti giocoforza di un cinema sempre più polarizzato in tenaci modelli industriali.
Ad affiancare quanto detto sopra, si unisce l’altra, esplicita, critica sulla quale Joker mette tutto il suo carico, quella sociale. Senza alcun dubbio viene cristallino l’ammettere che il film non vada a tracciare percorsi inediti o particolarmente più sconvolgenti di altri non già trattati anche in decenni passati (per citarne i due più palesi dallo Scorsese che dice no, Taxi Driver e Re per una Notte). E’ altrettanto cristallino l’ammettere come la proposizione di temi tristemente attuali non vada ad infrangere alcun vincolo di originalità se trova la sua giustificazione in una realtà quotidiana che spaventa più della finzione. La ciclicità del dramma spazza via qualsiasi lamentela che verte sul “l’abbiamo già visto”, se quel rivederlo è contraltare di un disagio sociale che c’è oggi come c’era quarant’anni fa.
Guardare al contesto in cui un’opera sorge si rivela fondamentale alla comprensione dell’opera stessa. E’ necessario, quindi, inquadrare Joker nel tessuto sociale statunitense in cui è saldamente ramificato. Un tessuto marcio, fiaccato da eterne disuguaglianze amplificate dalle incapacità di una amministrazione grottesca ed esasperato da una assurda e disumana politica assistenziale che vanifica ogni bellezza della carta costituzionale. Il film va a cogliere la piaga dell’abbrutimento sociale che è però di carattere globale, così i colpi battuti oltreoceano riecheggiano inevitabilmente fino a noi (intesi anche come europei). Seppur nel merito specifico riusciamo a vantare un sistema sanitario e di supporto valido ma sempre più azzoppato e assente dai dibattiti politici, non siamo esenti da quella decostruzione del welfare state a suon di mala gestione, slogan e xenofobia.
I poveri sono sempre più poveracci, i Thomas Wayne sono sempre più dietro quel cancello invalicabile. Todd Phillips non ci vuole fare la predica ne tantomeno vuole banalmente terrorizzarci, ma ci ricorda che in quello strato alla base della piramide, dove ogni giorno c’è anche tanta bontà, si cela una pentola a pressione che si regge su di un equilibrio estremamente precario (così come è precaria la sanità mentale di un individuo). Spesso la lotta di tutti contro tutti passa dalla nostra incapacità di sorridere al poveraccio di turno e su una reiterata sordità collettiva. Inebriati da una perenne propaganda e storditi dal mantra de “l’estraneo” che siamo noi a creare, alla fine “basta una brutta giornata per trasformare il migliore degli uomini in un folle”.
Nota a margine: che la DC Comics abbia definitivamente compreso, e accettato, il ruolo che le spetta sui grandi schermi? Dopo aver imboccato la strada giusta ancora prima del MCU con il primo capitolo del Batman nolaniano (2005), trilogia che aveva azzeccato ad inquadrare il potenziale narrativo anti-eroistico e umano della casa di proprietà della Warner Bros., il tutto è finito per essere vanificato da pellicole stanche e vecchie già al momento della loro uscita. Peccato originale il tendere all’emulazione, invidiosa e impossibile, della rivale Marvel, invece di andare a tracciare la definizione di un modello alternativo che scavi nel marcio e nell’oscurità, antitesi naturale già nelle corde stesse della DC. E’, ovviamente, presto per dirlo, ma gli ottimi incassi che sta registrando Joker fanno ben sperare. Banco di prova sarà il futuro Batman di Matt Reeves (2021) interpretato dal tanto bistrattato Robert Pattinson (che a noi piace), sorvolando sul prossimo Birds of Prey che è costola di Suicide Squad, film sbagliato nell’essere concepito e figlio di quella visione povera di cui dicevamo prima.
Joker è arrivato al posto giusto nel momento giusto? Sì, senza dubbio. Il più grande merito del film, da operazione anche scaltra, è quello di essere riuscito a sollevare una intensa discussione trasversale che, nel cinema, è di per sé già una grandissima vittoria. Se tutto ciò finirà per rivelarsi solamente come un grande polverone di fronte alla prova del tempo lo potremo scoprire solamente vivendo. Per ora, lasciatecelo.