Non capita tutti i giorni che un attore hollywoodiano conceda interviste esclusive su sua esplicita richiesta a dei giovani aspiranti giornalisti di cinema. Eppure, è esattamente ciò che è successo a noi. Vi raccontiamo come è andata.
Un paio di settimane fa, Joaquin Phoenix, attore tre volte candidato al Premio Oscar, è atterrato nella capitale per presentare il suo nuovo film, A Beautiful Day: You Were Never Really Here, tra le pellicole in concorso alla 70ª edizione del Festival di Cannes. Il giorno precedente la conferenza stampa, Phoenix e la sua compagna, l’attrice Rooney Mara, si aggiravano tranquillamente per il centro di Roma, ed è lì che chi scrive questo articolo, assieme ai colleghi Matteo Marescalco (Diario di un Cinefilo) e Mara Siviero (My Red Carpet), li ha incontrati. Con un’aria estremamente rilassata e serena, Phoenix si è mostrato fin da subito disponibile e amichevole nei nostri confronti, intavolando una piacevole conversazione e coinvolgendo anche Rooney per qualche foto ricordo.
Ma noi, che pensavamo di esser già stati abbastanza fortunati ad aver incontrato due delle più apprezzate star del panorama hollywoodiano e averci potuto scambiare qualche parola, non avevamo idea di quello sarebbe successo di lì a poche ore. Infatti, il giorno successivo verso ora di pranzo, arriva una telefonata da parte dell’ufficio stampa incaricato della promozione del film: Joaquin aveva chiesto di rintracciarci per poter continuare la chiacchierata della sera prima e concederci un’intervista in esclusiva. Stupiti ed esterrefatti per quello che ci era stato appena detto, ci rechiamo sul luogo dell’appuntamento, dove veniamo accolti dagli addetti stampa, ancora più spiazzati di noi dall’accaduto. Dopo un po’, ecco arrivare il “gigante buono” Phoenix, che ci saluta con un sorriso a trentadue denti, entusiasta che l’ufficio stampa sia riuscito a trovarci. A quanto pare, è rimasto piacevolmente colpito dalla nostra passione e voglia di fare, così ha deciso di supportare i nostri sogni a modo suo. E allora tutti in giardino e via alle danze.
Di seguito, l’intervista realizzata e tradotta da Laura Silvestri, Matteo Marescalco e Mara Siviero.
In quanto personaggio pubblico, non deve essere facile trovare un equilibrio tra l’icona e la persona. Come riesci a conciliare le due cose?
Quando lavoro, lavoro. La mia vita in quel momento è del tutto incentrata su quello. Faccio tutto in sua funzione, è l’unica cosa a cui penso. Le persone con cui lavoro diventano i miei amici. Ma quando sono a casa, sono a casa: porto fuori il cane, gli do da mangiare, faccio le pulizie, mi reimmergo del tutto nella vita quotidiana. Adoro fare film, per me è qualcosa di davvero importante, ma altrettanto lo sono la mia vita privata e i miei cari. Bisogna apprezzare ciò che si ha. A volte credo ci sia il pericolo di mettere il lavoro per primo e dimenticarsi del resto. È quello che mi pare accada a molti attori navigati, che però poi iniziano a vederla come una mera professione e niente più. Ho sempre il timore che possa accadere anche a me, perciò cerco sempre di bilanciare le due anime, quella professionale e quella personale.
Tutti hanno un eroe, chi è il tuo?
Probabilmente mia madre. È una donna incredibile, quello che fa è fantastico. Ha 74 anni e viaggia per il mondo per la sua organizzazione. È davvero una persona eccezionale, per cui cerco sempre di seguirne l’esempio.
Qual è il tuo rapporto con la musica, visti anche i film da te interpretati (Walk The Line, I’m Still Here…)? Suoni qualche strumento?
Ho imparato a suonare la chitarra per Walk The Line, ma è parecchio che non suono. È buffo, ci stavo pensando l’altro giorno: non so se è perché sto invecchiando, ma mi sono rattristato un po’ pensando che quando ero giovane avrei comprato un cd con i miei amici, mi sarei seduto lì con loro e lo avremmo ascoltato tutti insieme, per tutta la sua durata. Ogni singola canzone. Adesso mi rendo conto di ascoltare meno musica e quando lo faccio ho questa sensazione che mi fa dire “Ah sì! Diamine, adoro la musica!”, ma è un sentimento così diverso rispetto ad allora. Prima non era così semplice procurarsi della musica: all’epoca venivi a sapere che sarebbe uscito il nuovo cd dei Public Enemy, ma dovevi aspettare mesi per averlo e quando usciva ti precipitavi letteralmente al negozio di dischi. Io adoro la musica, tutti i miei fratelli sono musicisti: mia sorella Rain ha diversi gruppi, è una cantante; mia sorella Liberty ha una band… Non riesco a ricordare il loro nome al momento, ma fino a ieri hanno suonato e il loro show ha fatto sold-out; mia sorella Summer è una pianista. Anche io adoravo cantare per strada, quando ero un ragazzino. La musica ha sempre avuto un ruolo di grande rilievo nella mia vita.
Qual è il tuo cantante preferito?
Beh, che dire… credo proprio che sia John Lennon. Ma adoro anche Bowie. Ho ascoltato certe cose di recente…
E che ci dici delle band anni ’90, non so, i Backstreet Boys?
Ehm, c’è una canzone che effettivamente è un po’ impossibile non farsi piacere…
‘Cause I waaant it that way?
Anche quella, a dire il vero! Però ecco, il pop è divertente, ma in determinati contesti. Ma quando ascolto questo genere, non è che mi tocchi nel profondo, o mi colpisca davvero emotivamente. Però è anche bello divertirsi, ogni tanto, e uscirsene con Backstreet’s back, alright!
Nei film di James Gray (We Own The Night, Two Lovers e The immigrant) è come se fossi un fantasma, con tanti tormenti interiori. Come avete lavorato per ottenere questo effetto?
James è un tipo molto preciso, fa molta attenzione ai dettagli e a quello che possono rivelare sui personaggi e sulle loro esperienze. Spesso si metteva a suonare sul set per creare una certa sintonia, in modo tale che l’ambiente influenzasse positivamente l’interpretazione. È qualcosa a cui tiene molto, e che io stesso ho potuto constatare essere efficace.
Come scegli i tuoi ruoli?
Onestamente, non so davvero. È molto istintivo. Un po’ come quando ci si innamora: sai quando non sei con qualcuno e ti immagini come possa essere invece? E poi incontri una persona e pensi: “È proprio quello che cercavo!” Ma a volte è un sentimento che non riesci a comprendere, perché accade molto velocemente! È così che va. Quando non sto girando e penso a cosa vorrei fare, si viene a creare questo desiderio. Allo stesso modo quando ricevo una sceneggiatura, se è quella giusta, se c’è chimica, succede e basta.
C’è un ruolo nello specifico che ti piacerebbe interpretare, un giorno?
Mmmh a dire il vero, non ho un ruolo dei sogni. E quelli che ho interpretato, mi hanno tutti colpito in modo diverso. Ce ne sono alcuni, però, di cui ho ricordi più vividi per via dell’esperienza in sé, come quando ho girato con Philip Seymour Hoffman o Paul Thomas Anderson. Decisamente alcuni tra i momenti più significativi della mia carriera, anche perché sono molto legato a loro e non posso non ripensare a quei momenti che con grande trasporto.
Il viaggio è più importante della meta?
Beh, di certo può essere più interessante!
Hai un film preferito?
Ah, non saprei! Sai, ho visto Doctor Strangelove un sacco di volte, anche The Godfather, Raging Bull, Step Brothers… Ci sono quei film che, in un qualche modo, anche se li ho visti e rivisti, se capitano in tv, mi metto comunque a guardarli, perché non so dirgli di no. Ci sono film di alcuni registi, come Paul, che non puoi non vedere e rivedere. E quella è la cosa più bella: quando un film ti lascia con una sensazione tale da voler sempre ritornare in quel mondo. E quando li rivedi, provi sempre nuove sensazioni. A volte un film che vedi da bambino lo percepisci in un modo, mentre da adulto sviluppi un rapporto completamente differente. Ed è così bello che un film possa darti tutte queste emozioni.
Alla fine di questo incontro surreale, salutiamo e ringraziamo Joaquin per la sua gentilezza e generosità, tornando a casa ancora sognanti e con la riprova che, nonostante quel che si dice in giro, Hollywood non è tutta divi impossibili e business, ma ha ancora un cuore d’oro che batte forte nel petto.
di Laura Silvestri