Arriva al Japan Film Festival Plus (in versione online per il 2021) The Flavor of Green Tea Over Rice, il capolavoro restaurato di Ozu Yasushiro, maestro indiscusso del cinema realista giapponese. Dopo una prima fase all’epoca del muto in cui il regista esplorò il cinema di genere americano, con il suo ritorno alla macchina da presa dopo la fine della seconda guerra mondiale, Ozu ha dedicato la sua intera carriera ad un cinema delicato ed intimista dalla poetica evocativa e la raffinata simbologia che ha influenzato intere generazioni di cineasti asiatici e occidentali.
Il film del 1952 The Flavor of Green Tea Over Rice rappresenta una perfetta formula del cinema di Ozu con attenzione ai dialoghi ed alla composizione scenica ed una forte capacità di attrarre lo spettatore con temi apparentemente semplici ma di incredibile efficacia e coinvolgimento. Questa sembra davvero essere una delle opere più femministe del regista giapponese ed alle donne è dedicata la maggior parte del racconto esplorando le sfaccettature delle regole e convenzioni della società del Giappone degli anni ’50.
Il racconto si snoda attraverso la vita quotidiano di alcune donne agiate che vivono le loro attività sociali e le questioni di forma e comportamento pubblico in un Giappone delicato e rarefatto. Una dimensione di porcellana dove le sole stonature sembrano essere quelle espresse dalla più giovane delle donne che rifiuta costumi e convenzioni del Giappone tradizionale e lotta per costruirsi una vita basata su scelte indipendenti ed un nuovo modello femminile.
In contrapposizione il regista ci offre anche uno spaccato di vita matrimoniale in crisi, con contrasti riservati ma risoluti che porteranno ad una separazione ed un ricongiungimento brillante interamente ambientato in una cucina. La coppia, durante la preparazione notturna di un riso al the verde, si ritroverà a vivere un istante di intimità e semplicità che consentirà loro di riscoprire il senso del matrimonio.
Nella struttura delicata e delizionsa del film di Ozu non manca una critica alla nuova moda (negli anni ’50) del pachinko, un gioco d’azzardo che cominciava a logorare le risorse economiche delle generazioni più giovani della nazione. L’opera è un piccolo gioiello godibilissimo a quasi settant’anni di distanza che mostra ancora una scrittura di qualità ed una messa in scena perfetta.