Ansia, emozione ed adrenalina che- con discrezione- circola tra i presenti, contagiandoli progressivamente l’un l’altro in modo pressoché inevitabile ed inarrestabile: sono queste le sensazioni che si respirano al termine di un piccolo cinefestival, ecco un report da dietro le quinte durante una tranquilla notte romana di premiazioni. Le crew delle 37 opere in concorso al gran completo sono pronte a ricevere il verdetto della giuria d’esperti riunita per l’occasione dal direttore artistico del Teatro Ivelise, Brenda Monticone Martini, che riesce a offrire uno spazio teatrale (quello fondato dall’attrice Ivelise Ghione a ridosso del Colosseo) per la prima edizione dell’IveliseCineFestival.
L’Ivelise è una rassegna originale il cui obiettivo è quello di creare, attraverso l’arte, una rete di incontro, dialogo, condivisione tra cineasti e spettatori. Si è svolta tra il 29 ed il 30 ottobre e sono state proiettate 37 opere. Tutti i film erano di durata inferiore a 30 minuti e suddivise in sei differenti categorie: tematica sociale, fantasy, commedia, drammatico, documentario e horror/noir.
Le giurie erano due: quella popolare (votante) e quella già nominata giuria di qualità costituita da Stefano Viali (attore, regista e autore), Massimo Intoppa (direttore della fotografia), Marta Gervasutti (regista, sceneggiatrice e casting director) e Maria Teresa Campus (attrice). Un festival che cerca di stringere collaborazioni anche tra Teatri e Associazioni Culturali romani, uniti per l’occasione e pronti a fornire -come premio per i vincitori- la possibilità di proiettare i cortometraggi vincitori nelle sedi del Teatro Petrolini, il Teatro Kopò, Il Caffè Letterario Mangiaparole e l’Ivelise stesso.
Così mi ritrovo dietro le quinte, respiro l’aria concitata che precede- di quasi un’oretta- la proclamazione dei vincitori, e nonostante i rispettivi impegni, riesco a strappare una piccola intervista a due giurate Maria Teresa Campus e Marta Gervasutti:
DassCineMag: Questa è la tua prima esperienza come giurata oppure hai già avuto altre esperienze simili, ma soprattutto… come ti senti oggi qui, in questa veste, in questo contesto?
Maria Teresa Campus: Innanzitutto no, non ho mai fatto la giurata, per cui è la prima volta per me e a stare dall’altra parte ci si rende conto di quanto ci siano comunque delle difficoltà enormi da affrontare: ritrovarsi a giudicare un’opera d’arte che, per gusto o per complessità o tante altre variabili, ti trovi inesorabilmente a doverne discutere con altre persone che la pensano diversamente da te; quindi c’è anche la difficoltà- enorme!- di riuscire a trovare un accordo, un punto d’incontro. È stata un’esperienza molto interessante, aldilà di vedere cosa si produce nel mondo underground, è importante capire quali siano le idee in circolazione. Di solito sono io ad essere giudicata, e non il contrario! (ride).
DCM: Ti ritrovi a rivestire un ruolo diverso, insolito: che effetto ti fa nei dettaglio, e soprattutto quali difficoltà ti procura giudicare un cortometraggio?
MTC: Certo, un cortometraggio è molto complesso. È come una poesia: deve riuscire a comunicare un messaggio importante, che interessa agli autori, in poco tempo, attraverso ogni mezzo, come se fosse “compresso”; a parer mio è molto più difficile, perché avere settanta minuti e non dieci a disposizione… in questo caso fa la differenza! Essendo un’attrice nella vita, tendo a fare molto attenzione alla recitazione: ma, in questo caso, è come se avessi rivisto -e studiato- anche tutte le altre arti coinvolte, perché il cinema è un’arte di gruppo, aggregante, dove l’importante è riuscire a trovare un equilibrio per far sì che l’opera finale sia completa: ed è stato interessante vedere l’importanza e il peso di ogni mestiere per la realizzazione del prodotto, magari sotto l’occhio vigile di un attento regista pronto a coordinare tutti i lavori sul set.
DCM: Marta, anche tu sei qui nelle vesti di giurata per la prima volta, oppure no? E nello specifico… come ti approcci a valutare questi cortometraggi?
Marta Gervasutti: Allora… diciamo che giudicare fa parte del mio lavoro, essendo casting director nella vita, oltre che regista e sceneggiatrice… ma nella veste di giudice, in un festival, è la prima volta! Per cui sono stata “costretta” a giudicare in toto le opere compiute, non fermandomi soltanto alla valutazione degli attori e quindi restando nel mio ambito settoriale; devo ammettere che sono stata contenta fin dall’inizio di partecipare in questa “nuova” veste in un contesto del genere, e con entusiasmo mi sono lanciata in questa avventura, anche perché spesso gli attori- con cui collaboro abitualmente- mi inviano i link delle loro opere prime, spesso autoprodotte, per ricevere da me un giudizio o un’opinione, anche perché spesso si improvvisano calandosi nella duplice veste di registi e sceneggiatori; beh, se ci pensi per questo motivo sono già abituata, in qualche modo, a giudicare sia chi lo fa alle prime armi, come accade in questo caso con le 37 opere selezionate, sospese tra chi è più abituato a lavorare in un certo modo e chi, invece, affronta per la prima volta un ambito del genere.
DCM: E secondo te, un percorso del genere all’interno di un festival come questo, quant’è importante e che impatto esercita su un aspirante lavoratore dello spettacolo?
MG: Partecipare, essere competitivi, serve sempre, perché solo in quel caso ci si rende conto di quanto valga effettivamente la propria opera, solo quando ci si ritrova a confrontarsi con gli altri; poi- per quanto riguarda il livello dei premi- tutto dipende dalla tipologia di festival tirato in ballo, ed esso può servire o non servire: diciamo che a livello umano può servire moltissimo come una sorta di percorso “propedeutico”, anche se in Italia- parlando di cortometraggi- ancora non c’è quella cassa di risonanza necessaria per lanciare le opere prodotte sul mercato stesso; non hanno un gran peso, ad averlo è il nome e l’importanza che quest’ultimo acquisisce partecipando ad altri festival e continuando a far girare il proprio cortometraggio nel circuito festivaliero.
Mi ritrovo a scambiare quattro chiacchiere anche con qualche partecipante, ragazzi giovani, rampanti, desiderosi di sperimentare e inconsapevolmente pronti a lanciarsi in questa nuova avventura, battezzando le loro opere ed introducendole così nel circuito festivaliero. C’è Daniele Manzella che concorre con il suo Mèditerranèe, storia di un faro ambientata nel profondo Sud, nella categoria Tematica Sociale, come pure il duo toscano costituito da Elias Fioravanti e Samuele Conti, protagonisti del progetto A TimelessDream, cronaca del sogno di una bambina che desidera evadere dalla triste realtà famigliare che la circonda; l’approccio di entrambi è mosso dalla curiosità, dalla genuina voglia di conoscere l’ambiente per il loro percorso professionale- oltre a presentare il loro cortometraggio in concorso sperano di poter apprendere sempre qualcosa di nuovo; chiacchiero anche ad una delle attrici del corto corale #Loveless, nato da un lavoro collettivo di un gruppo di teatranti- di mestiere, diplomati al Teatro Stabile di Genova- approdati davanti alla macchina da presa, utilizzando i toni della commedia per aggiornare il tema dell’amore ai tempi 2.0.
Ritrovo dei colleghi del Dipartimento di Arti e Scienze dello Spettacolo dietro al cortometraggio Il Natale di Lia, presentato nella categoria Fantasy, una fiaba natalizia che vede protagoniste Valentina Bellè e Cristiana Lionello (figlia di Oreste, compianto doppiatore di Woody Allen) dirette da Massimo Trognoni e Michele Giamundo su una sceneggiatura di Jacopo del Giudice, senza dimenticare il direttore della fotografia Roberto Ostuni, la costumista Sara D’Angelo, Segretaria di edizione Veronica Marozzi, effetti speciali Gioele Stella, montaggio Andrea Gagliardi e tanti altri che hanno investito tempo e passione per realizzare questo progetto.
La serata si volge al termine, i vincitori sono stati proclamati (l’elenco completo dei vincitori è presente sull’evento): tutti i presenti sono chiamati a partecipare alla tavola rotonda che a breve si terrà nel teatro, abbattendo la quarta parete ideale tra professionisti navigati e giovani leve, nella speranza di creare un dialogo creativ. Prima di entrare in sala, riesco a rivolgere qualche domanda anche ai tre vincitori- secondo la Giuria Popolare- nella categoria Tematica Sociale con il loro Mura Invisibili, ovvero il regista Edoardo Guerrazzi e i due attori Marco Orifici e Luca Guerrazzi. Il loro intento era quello di raccontare una storia di depressioni e male di vivere, ma soprattutto la possibilità di riprendersi, attraverso un viaggio. Particolare è la scelta tecnica compiuta dal regista, ovvero girare tutto in bianco e nero tranne un’unica scena, che rappresenta agli occhi dello spettatore- e del protagonista- la sconfitta dei suoi demoni interiori. Per i tre ragazzi si tratta del primo festival ma soprattutto del primo corto che realizzano.
L’ultima parola però spetta all’organizzatrice e direttrice artistica Brenda Monticone Martini, che riassume così la filosofia dietro alla prima edizione di questo cinefestival: «La filosofia della nostra associazione Allostatopuro è quella di unire le forze tra noi, gente di spettacolo, superando le difficoltà economiche e le sfide che la vita ci propone per cercare di incentivare la creatività, sempre. In questa prima edizione non abbiamo avuto nessun aiuto da parte di sponsor vari. […] Un’altra collaborazione importante è stata quella della Commissione di Esperti, la Giuria di Qualità che ha deciso di mettersi in gioco lanciandosi in questa avventura in così poco tempo: in questo modo siamo riusciti a creare una squadra unica, costituita ovviamente anche dal contributo delle singole opere, dall’impegno del nostro staff e delle giurie. Il nostro motto è quello di rimboccarsi le maniche, unirci e non lamentarci, per dare una risposta forte alla crisi economica e ai cinici più incalliti».