Il cinema di Elia Suleiman è il cinema di una nazione che non c’è, è il cinema di una filmografia che esiste solo fra le pieghe delle filmografie degli altri paesi, è un cinema che oltrepassa i confini tra Israele e Palestina senza permessi, carte, documenti, volando come un palloncino oltre le frontiere. It Must Be Heaven (qui il trailer), quarto lungometraggio del regista palestinese è un piccolo fiore di ironia, satira, poesia e giochi culturali che trascendono le identità nazionali per alleviare lo spirito del pubblico palestinese che non c’è pur esistendo e del pubblico disposto ad accogliere questo racconto a prescindere da nazioni e frontiere.
L’intero film si basa su giochi di parole, metafore visive e sottilissimi rimandi storici nascosti in una gag silenziosa ed in primo piano dello stesso regista-attore, che tanto somiglia al grande Buster Keaton. Suleiman cerca una Palestina immaginaria, fiabesca ed al tempo stesso concreta e melanconica, ci obbliga ad accogliere la diversità di un cinema clandestino e profondamente colto che prescinde con leggerezza dai luoghi comuni. Riuscire a ridere e far ridere della condizione palestinese nel mondo, sapersi criticare e saper distruggere con una battuta ed una gag anche la più aspra posizione israeliana richiede senso della misura, maturità e capacità poetica.
Suleiman diverte dal primo all’ultimo fotogramma, convince e trascina nella sua avventura obbligandoci a riflettere su un conflitto spaventoso senza retorica e vittimismo, alleggerisce il carico sulla Palestina e riserva gag critiche e geniali tanto a Israele quanto agli Stati Uniti e perfino alla vecchia Europa. La grande scuola del cinema che fa sorridere e riflettere che ci ha regalato gioielli come Modern Times e The Great Dictator rivive in un regista di una nazione che non c’è e già solo questo onora la poetica dei grandi maestri come Keaton e Chaplin.