#IrishFilmFesta2025: Seconda giornata

irish film festa, collettivo

Alla Casa del Cinema di Roma si sta svolgendo in questi giorni l’Irish Film Festa, festival dedicato al cinema e alla cultura irlandese. La redazione di DassCinemag ha partecipato all’evento con l’intenzione di riportare ai propri lettori alcune interessanti suggestioni delle opere viste.

VANYA (2023, S. Yates)

Recensione di Vanya con Andrew Scott all'Irish Film Festa 2025

Un palco semivuoto, i sussurri del pubblico fuoricampo, qualcuno entra in scena inaspettatamente e spegne le luci del teatro: è così che inizia Vanya (trailer). La pièce e teatrale tratta dal celebre dramma Zio Vanya di Anton Cechov e riadattata dall’acclamato Simon Stephens viene filmata live da Sam Yates durante una delle rappresentazioni sold-out nel West End londinese e distribuita dal National Theatre.

Andrew Scott, talentuoso attore irlandese, è solo in scena ed interpreta tutti i personaggi del dramma in una performance magistrale. L’attore testimonia il fatto che la tradizione attoriale irlandese non lascia la sua impronta unicamente nel mondo cinematografico, ma è ancora rilevante anche sul palcoscenico. Scott ci permette di distinguere i personaggi (che si alternano sul suo volto con un ritmo incessante) attraverso manierismi fisici ed un uso della voce virtuosissimo, senza rendere lo spettacolo respingente ma al contrario facendoci immergere a tal punto da dimenticare che la sua è l’unica presenza sul palco.

Questa peculiare modalità di messa in scena del dramma riesce a mantenere in vita i temi cechoviani del rimpianto e delle occasioni perdute perché Scott riesce a lasciarci entrare di volta in volta nella profondità di ciascun personaggio fino alla commozione. È l’ennesima conferma dell’enorme talento dell’attore che già ha vinto nel corso della sua carriera numerosi premi della critica. L’adattamento di Stephens è costellato di scene genuinamente spiritose e l’aggiunta degli elementi moderni come il lavoro del professore, reso qua un regista cinematografico, rinnovano l’universalità del dramma adattandolo al mondo contemporaneo.

Lo spettacolo, inoltre, non viene ripreso con un’inquadratura fissa, come a riprodurre la visione di chi assiste dal vivo, ma la macchina da presa segue Scott e ne enfatizza la performance con numerosi primi piani e inquadrature studiate. L’operazione della ripresa live degli spettacoli del National Theatre è sicuramente fatta per rendere più accessibile il mondo teatrale per chi è impossibilitato ad assistere dal vivo ma va tenuto presente che siamo tecnicamente di fronte ad un film, mediati dal punto di vista della macchina da presa.

La regia di Yates esalta la bravura di Scott, permettendo di notare dettagli espressivi impossibili da cogliere a distanza, ma dopotutto il teatro è distanza, è visione nel qui ed ora. Se da una parte siamo grati di avere l’occasione di assistere ad una performance magistrale anche senza andare a Londra, alla fine rimane anche l’amarezza di non potersi alzare in piedi ed applaudire direttamente al performer.

Di Chiara Maremmani.

NORTH CIRCULAR (2022; L. McManus)

north circular recensione

«Quelli al potere scrivono la storia, mentre quelli che soffrono scrivono le canzoni». Così recita la citazione del musicista irlandese Frank Harte, posta a sigillo del film. Però, solamente coloro che scrivono le canzoni possono mantenere viva la storia, ed è proprio tra musica e memoria che si snoda North Circular (trailer).

Come spiega il regista, gli Irlandesi sono un popolo di raccontastorie e la musica tradizionale non è fatta di sinfonie e opera, ma di ballate struggenti e vite sfortunate. Con la musica instillata nel sangue come strumento per affrontare le disgrazie, gli abitanti della North Circular Road rievocano episodi di dolore personale e comunitario attraverso racconti e canzoni. 

All’inizio del viaggio troviamo The Cobblestone, un pub storico, baluardo della musica tradizionale e quartier generale di molti giovani musicisti folk, minacciato dalla gentrificazione e dall’avidità dei costruttori. A pochi metri c’è una base militare, poi un carcere, un ex manicomio e una casa occupata in cui riecheggiano ancora fantasmi del passato. Incontriamo artisti e senzatetto, sopravvissuti e criminali, discendenti di tragedie ed eredi di traumi. Una comunità che rifiuta di sgretolarsi, unita dall’amore per i luoghi e le tradizioni, insieme nelle proteste e nelle poche gioie regalate soprattutto dallo sport

Pochi chilometri di strada racchiudono vite e generazioni intere, in un mondo che cambia non sempre in meglio e lascia indietro chi ha più bisogno di aiuto. La storia di Dublino è la storia di ogni città, una guerra continua tra la memoria storica che non accenna a desistere e un mondo moderno in cui sta sempre più stretta. 

Il film è stato uno dei pochi girati senza problemi durante la pandemia da Covid 19 poiché, filmato in un raggio di pochi chilometri, non è stato danneggiato dalle restrizioni del lockdown. Il regista Luke McManus scruta con occhio imparziale le trame interconnesse di un’intera comunità, facendosi trasportare dalle sue dinamiche. Il risultato è un documentario straordinariamente vitale nel raccontare la fragilità e che pone passato e presente sullo stesso piano grazie all’incantevole scelta visiva del bianco e nero.

Le canzoni, cantate da giovani musicisti, si alternano alla narrazione e diventano strumento di elaborazione della storia e esempio di come l’arte più luminosa sbocci dalla più totale oscurità. Così, alla fine, sorge una domanda: è vero che quelli al potere scrivono la storia mentre quelli che soffrono scrivono le canzoni? O sono quelli che soffrono a scrivere la storia combattendo il potere con le canzoni?

di Miranda Rinaldi.

KING FRANKIE (2024; D. Malone)

Paesaggi mozzafiato e una popolazione da sempre riconosciuta per la sua gentilezza e ospitalità, l’Irlanda è una di quelle nazioni in cui ti senti a casa, pur non essendolo davvero. Tuttavia, non è sempre stato così, e King Frankie (trailer), esordio alla regia di Dermot Malone del 2024, si concentra su un periodo storico noto come Celtic Tiger, durante il quale l’Irlanda visse un boom economico che ebbe un impatto significativo sul sociale. Questo cambiamento portò gli irlandesi ad adottare sempre più atteggiamenti egoistici e materialisti, pur di emergere a livello finanziario, anche a costo di sopprimere il proprio lato umano e patriottico.

Dopo la scomparsa del padre, Frankie Burke (Peter Coonan), un tassista di Dublino, si ritrova a fare i conti con il peso del passato, a causa dell’arrivo inaspettato di una vecchia conoscenza, che non vedeva da dieci anni.

King Frankie è un film che esplora in profondità aspetti della vita che tendiamo solitamente a reprimere, come il senso di colpa e il dolore. La narrazione, divisa tra passato e presente, permette gradualmente a noi spettatori di ricostruire gli eventi che hanno segnato la storia del protagonista. In tal senso è interessante notare la bravura di Coonan, su cui è stato fatto un notevole lavoro fisico per rappresentare in modo chiaro i due volti di Frankie: il primo, risalente all’epoca del boom, come un personaggio frenetico e avido, mentre il Frankie del presente risulta più riflessivo e maturo. Nessun ricorso al trucco per l’invecchiamento del personaggioma solo un paio di occhiali e un’interpretazione degna di nota.

A livello visivo, King Frankie risulta piacevole da guardare, sebbene presenti alcuni inciampi che ne compromettono l’esperienza. Non tutti i personaggiper esempiosono stati approfonditi adeguatamente, rimanendo da parte e lasciando dubbi sul loro ruolo nella trama. Inoltre, il ritmo del film appare troppo lento. Nonostante gli intenti del regista fossero quelli di uno svelamento graduale degli eventi, questo non fa altro che appesantire la narrazione, diventando prevedibile e rendendo ingiustificabili alcune scene che potevano essere evitate.

Essendo un debutto, va riconosciuto a Malone un certo talento nel creare un prodotto tanto intenso quantoa detta suapersonaleKing Frankie racconta l’apice e il declino di un’epoca, mostrando come i suoi residui sopravvivano ancora nella società irlandese. Coonan, a eccezione di qualche difetto nella regia, riesce comunque a mantenere in piedi l’opera, guidando Frankie verso una redenzione e crescita personale.

Di Gabriele Stefani.

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