Io sono la fine del mondo, la recensione: un politicamente scorretto che delude le aspettative

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Io sono la fine del mondo è un film (trailer) del 2025 scritto e diretto da Gennaro Nunziante insieme al protagonista Angelo Duro. Il film è stato distribuito nelle sale cinematografiche italiane a partire dal 9 gennaio 2025. Per la diffusione son stati utilizzati principalmente i canali social dell’attore e il passaparola, più qualche spot televisivo. Il comico ha girato anche vari cinema, in particolare nelle zone limitrofe alla capitale, per incontrare lui stesso gli spettatori a seguito delle prime visioni. Ed è proprio grazie ad i social che il film ha riscontrato un ottimo successo al botteghino, con un attuale incasso che sembra aggirarsi intorno agli 8 milioni.

Angelo Duro è un autista di NCC nella capitale, specializzato nel riportare adolescenti ubriachi a casa. La sua stravagante routine viene improvvisamente interrotta quando riceve una telefonata dalla sorella Anna (Evelyn Famà), che vive a Palermo, città di origine di Angelo, che gli chiede di occuparsi dei loro genitori anziani, Franco (Giorgio Colangeli) e Rita (Matilde Piana), mentre lei andrà in vacanza con il marito Nando (Carlo Ferreri). Da subito, capiamo che Angelo e i genitori non si parlano da anni: tra loro c’è un rancore reciproco che li ha allontanati per molto tempo. Nonostante vari rifiuti iniziali, Angelo accetta di prendersi cura dei genitori, costretto ad aspettare circa un mese per la riparazione della sua auto, un catorcio ma fondamentale per il suo lavoro.

Nei mesi precedenti i genitori di Angelo hanno iniziato a frequentare uno psicologo, consigliato dal medico di famiglia, per affrontare i primi segni di depressione che li stanno colpendo, soprattutto al padre. È proprio lo psicologo che suggerisce ad Anna di chiamare il fratello, sia per permetterle di godersi la vacanza, sia per cercare di riallacciare i rapporti tra Angelo e i genitori, nonostante la loro evidente riluttanza. Dopo un iniziale gioia che pervade la sorella ed i genitori in favore di una possibile conciliazione, il film prende una piega decisamente tragicomica perfettamente in linea con il carattere franco e spigoloso del personaggio.

All’inizio del suo soggiorno, Angelo mette in atto un piano per rendere la vita dei genitori il più difficile possibile. Fingendo di prendersi cura di loro, si mette in contatto con i medici e fa di tutto per minare la loro salute, senza alcun rimorso. Durante il film, scopriamo che la sua motivazione è un profondo desiderio di vendetta per i torti subiti durante l’infanzia. Nel frattempo Angelo intratterrà anche una breve relazione con la dottoressa Marta (Marilù Pipitone), la sostituta del medico dei genitori. Paradossalmente, la dottoressa sembra interessata ad Angelo, convinta che sia una persona sensibile e premurosa nei confronti dei genitori. Ma, per evitare spoiler, non entriamo nei dettagli e lasciamo che il film dispieghi tutta la sua comicità senza anticipazioni.

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Io sono la fine del mondo è un esperimento cinematografico decisamente interessante; ancor più interessante è l’ottimo successo di pubblico che ha riscosso, un successo che non ha avuto pari tra gli altri stand-up comedian italiani (come nel caso di Michela Giraud con Flaminia, che ha incassato 169.000 euro). Ma cosa lo rende così interessante? Di comici italiani da palcoscenico che sono approdati sul grande schermo ce ne sono molti, ma gli stand-up comedian veri e propri non sono poi così tanti. Si potrebbe dire che, dopo Flaminia, Angelo Duro sia stato il primo a fare questo salto.

Il personaggio di Angelo Duro è uno dei più noti nel panorama della stand-up comedy italiana. Il comico ha sempre avuto un talento particolare nel mantenere il suo personaggio coerente, sia sul palco che nella vita reale (interagendo con i fan) che sui social. Questo ha certamente giocato un ruolo fondamentale nel portare sullo schermo qualcosa di già ampiamente riconosciuto e costruito. Il suo specifico character template ha suscitato una curiosità unica: come si inserirà questo personaggio così peculiare, totalmente fuori dal comune, all’interno di una narrazione cinematografica? È proprio qui, purtroppo, che l’enfasi sembra svanire.

I problemi principali di questo film sono sostanzialmente due. Il primo riguarda la sua narrazione, che pur rimanendo all’interno degli schemi classici, viola ogni principio di struttura di sceneggiatura. Il film si sviluppa seguendo una trama lineare, rispettando la tradizionale divisione in tre atti, ma risulta narrativamente stagnante e privo di evoluzione. Il secondo problema si intreccia perfettamente con il primo: il personaggio di Angelo appare completamente privo di uno schema su cui basarsi. Non segue alcuna logica, né nelle battute né nel suo percorso, mancando di una storia ben definita che ne giustifichi il comportamento o ne costruisca un background solido.

Il comico non adotta la stessa attitudine sul palco. Le sue battute sono inserite in un monologo ben strutturato, risultando così funzionali al discorso. Si tratta di un modo di raccontare completamente diverso dal mezzo cinematografico, che richiede una storia solida su cui costruire il black humor e un personaggio che subisca un’evoluzione (anche se non necessariamente positiva). Angelo, invece, non si evolve e i suoi sketch appaiono come inserti all’interno di un racconto privo di una struttura portante su cui fondarsi.

Inoltre, parlare di black humor sarebbe ingiusto nei confronti dello stesso. Angelo Duro, infatti, non fa black humor, ma si limita a essere un banale generatore di insulti. Certo, non si può negare che ci siano due o tre sketch che suscitano qualche sorriso, e che in sala probabilmente qualche risata la strappi. Tuttavia, sembra che ciò che Duro, insieme a Gennaro Nunziate, cerchi di portare sullo schermo sia un personaggio che cavalca l’onda del malcontento verso il politicamente corretto, ormai contrastato da più di un anno in ogni angolo social.

Ma anche qui, portare in scena il politicamente scorretto non dovrebbe equivalere a saper generare una semplice e banale valanga di insulti. Se ci pensiamo, anche nella nostra tradizione comica dei cinepanettoni, che non siamo qui a giudicare in termini di qualità, si faceva uso di una comicità più grezza, dove l’insulto rappresentava uno dei picchi più alti di umorismo. Ma parliamo di un tipo di insulto semplice, diretto, fatto di parolacce da strada, che in quel contesto risultava funzionale alla comicità. Il punto è che qui ci troviamo di fronte a uno stand-up comedian, un tipo di comicità che appartiene a una scuola completamente diversa. Quando questa viene mescolata con la comicità più grezza degli anni ’80 proiettata nel contemporaneo, il risultato è una sorta di ibrido che diverte ed infastidisce allo stesso tempo.

Così ci ritroviamo ad entrare in empatia con chi viene preso di mira da questo personaggio che sembra più incarnare le vibes di un lavoratore romano al termine di una lunga giornata, nel bel mezzo del traffico. Un tipo di umorismo che, purtroppo, risulta più banale che provocatorio. Nonostante sembri che Angelo Duro esprima quello che molti di noi pensino realmente, dando voce ai nostri pensieri più intrusivi e mettendo da parte l’empatia per sentirsi “sincero” o “figo”, in realtà non fa altro che evidenziare un comportamento infantile. Questo diventa ancora più evidente osservando il pubblico in sala: il range di età dei presenti, principalmente formato da bambini o giovani adolescenti accompagnati dalle famiglie. Questo evidentemente sottolinea quanto il suo tipo di umorismo sia lontano da una vera provocazione matura, risultando piuttosto superficiale e poco adatto a un pubblico adulto.

Non entrando nemmeno nel merito della qualità tecnica (che è sotto la media), si può dire che Angelo Duro non abbia particolari colpe, se non quella di essere affiancato da un regista che, già in passato, ha dimostrato di non saper gestire adeguatamente personaggi comici da palcoscenico (come nel caso di Checco Zalone). L’assenza di una trama solida fa sì che il film sembri più un collage di piccoli spezzoni comici, che, più che ricordare gli sketch teatrali, assomigliano a reels di Instagram: quei video che scorriamo velocemente in attesa di quello successivo (in questo caso del prossimo pezzo comico di Angelo). Quando si esce dal cinema, la sensazione è quella di non aver visto nulla di memorabile, solo un lungo TikTok orizzontale, che come tali, si dimentica rapidamente.

Al cinema.

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