Quindici anni fa, nel 2007, usciva nelle sale canadesi Into the Wild (trailer), il film scritto e diretto da Sean Penn. La storia è quella vera di Christopher McCandless, noto con lo pseudonimo di Alexander Supertramp, che appena terminati gli studi iniziò a vagare per gli Stati Uniti, senza soldi, senza una macchina, solo con lo zaino in spalla e l’obbiettivo di raggiungere i territori selvaggi dell’Alaska. La storia di Alexander Supertramp era degna di essere conosciuta e Sean Penn trasse ispirazione per raccontarla al cinema dal bestseller del saggista statunitense Jon Krakauer: Nelle terre estreme, pubblicato nel 1996.
La vicenda produttiva del film è piuttosto controversa, infatti Penn, non appena lesse il libro, rimase affascinato dalla storia e cercò subito di acquistare i diritti del film. La famiglia di McCandless, però, non era entusiasta all’idea di vedere la storia di suo figlio proiettata sul grande schermo e il regista fu costretto ad attendere quasi dieci anni prima di poter iniziare a girare. Il film uscì nelle sale statunitensi il 21 settembre 2007, mentre in Italia il 25 gennaio 2008 dopo essere stato presentato alla Festa Internazionale di Roma.
Il film inizia con la scoperta del “magic bus” da parte di Alexander, il bus dove morirà, da solo, pochi mesi dopo. Si trova nei territori desolati dell’Alaska, l’ultima tappa del suo viaggio dove il bus è l’unico superstite della civiltà da cui Alex ha deciso di fuggire. Il film si suddivide in 5 capitoli: La mia nascita; L’adolescenza; La maturità; La famiglia; La conquista della saggezza. Il viaggio del giovane, infatti, rappresenta l’inizio di una nuova vita, una vita di scoperta, di bellezza: una nuova vita e una nuova identità. Christopher McCandless diventa Alexander Supertramp, nomade senza una casa, esteta estremo, alla ricerca di un’esistenza autentica, primitiva. Alexander decide di donare i suoi soldi in beneficenza e di bruciare il resto, di abbandonare la sua macchina in mezzo al nulla e di portare con sé solo la targa; finisce per interrompere qualsiasi rapporto con il resto del mondo e di vivere solo di incertezza.
E così fugge, fugge dal veleno della civiltà, diventa il simbolo del viaggiatore esteta, si perde nella natura selvaggia, gira il mondo, ritrova la sua casa nella strada, nella terra che lo ha accolto durante il suo lungo cammino. Perché ci dice: l’essenza dello spirito dell’uomo sta nelle nuove esperienze. Riscopre la vita antica, la vita vera che è sempre esistita e che non è una creazione dell’uomo. Così ritrova se stesso, allontanandosi dal resto, vivendo solo di amore, di incontri e infine di una profonda solitudine. Il suo viaggio estremo ha ispirato molti uomini nel resto del mondo che hanno ripercorso le tappe del suo viaggio per raggiungere la meta finale: il bus magico, l’ultima casa di Alexander Supertramp.
Le tappe del suo viaggio sono accompagnate dalla voce fuori campo della sorella di Alex, che analizza in modo particolare il difficile rapporto di suo fratello con la famiglia e con i suoi genitori e con la società in generale, che fin da piccolo gli stava particolarmente stretta. Insieme alla voce di Carine McCandless (Jena Malone) , che cita anche alcune frasi tratte dai libri preferiti di suo fratello, ad accompagnare le avventure di Alex ci sono le canzoni di Eddie Vedder, che danno voce ai suoi pensieri e ai suoi stati d’animo. Il testo di Society sembra quasi estrapolato dal suo diario che è stato ritrovato sul bus, dopo la sua morte, per quanto coerente con i suoi ideali e Guaranteed, brano principale della colonna sonora, ha vinto il Golden Globe per la miglior canzone originale nel 2008.
Le inquadrature omaggiano le terre selvagge, la purezza di quei territori incontaminati, nei quali la troupe ha dovuto sopportare le condizioni più estreme. L’intensa interpretazione dell’allora giovanissimo Emile Hirsch, solo ventunenne, gli ha valso molti riconoscimenti e il successo internazionale. Egli dichiarò di essersi immedesimato profondamente in Alexander e noi spettatori, nella sua interpretazione, nel suo sguardo, riusciamo a immedesimarci a nostra volta, a ritrovare quella voglia di avventura, di cambiamento che in realtà è insita in ogni essere umano. Sean Penn dirige il suo quarto film in modo a tratti incoerente e per questo estremamente autentico, rendendoci partecipe, dall’inizio alla fine, della scoperta di Alexander. È impossibile guardare il film senza provare una profonda ammirazione per il suo coraggio, di provare paura con lui, di commuoversi per la sua sensibilità e per i suoi ultimi atti di dolore, durante i quali è rimasto ancorato alla vita e a quel desiderio di felicità che lo ha condotto a quella dolorosa conclusione.
Si allontana dalla sicurezza di un futuro certo, dal tradizionalismo, dal conformismo, dalla prudenza e decide di assecondare il suo animo avventuriero, alla ricerca di una felicità che poi scopre essere vera solo se condivisa. È forse questo il senso del suo viaggio, la sua conclusione, un ammonimento, per sé stesso e per tutti quelli che sono venuti dopo di lui: la felicità è reale solo se condivisa. E lui la sua felicità ha potuto condividerla, seppur indirettamente, con noi, attraverso il suo diario e Sean Penn ha contribuito a renderla immortale.