Un’intervista concessaci gentilmente da Astutillo Smerigla, divertente e molto interessante affronta temi multipli, dal contesto produttivo animato italiano, all’importanza di pensare un prodotto cross-mediale, e non solo. Astutillo Smeriglia è il nome d’arte usato da un giovane creativo italiano per firmare i propri prodotti d’animazione sul suo canale YouTube che ad oggi conta 72.000 iscritti. Di seguito l’intervista che ci ha rilasciato.
Cosa ti ha spinto a fare video per YouTube?
All’inizio usavo YouTube solo come un deposito di cortometraggi. Infatti, a parte gli ultimi video, cioè Polchinski, Ancora Preti e la serie Tutto quello che c’è da sapere su tutto quanto, tutte le altre animazioni sono state distribuite, per così dire, principalmente nei festival di cortometraggi. Purtroppo i festival, soprattutto quelli più importanti, tendono a non selezionare i film che sono già visibili in rete, per cui io facevo così: finita un’animazione, la mandavo per circa un anno in festival e rassegne e poi, quando aveva esaurito il suo ciclo, la depositavo su YouTube e altri siti per renderlo visibile pubblicamente, anche se, prima di Preti, il mio canale aveva pochissimi iscritti, per cui caricare un video su YouTube o farlo vedere agli amici era un po’ la stessa cosa. Poi, un giorno, quando ho caricato il primo episodio di Preti, per qualche motivo il canale è esploso, in pochissimo tempo è passato da circa 500 iscritti a 30000. È ovvio che a quel punto YouTube era diventato il modo migliore per rendere visibile quello che facevo, per cui ho iniziato a dargli la precedenza rispetto ai festival. Certo, è vero che un corto selezionato a un festival dà più prestigio rispetto al metterlo semplicemente online, però è anche vero che stare dietro ai festival ha un costo non indifferente in termini di tempo e soldi e poi devi aspettare ere geologiche per sapere se il tuo corto sarà proiettato o scartato, mentre io, quando ho finito un video, muoio dalla voglia di farlo vedere. In certe cose credo di avere ancora cinque anni.
Da dove nasce la tua passione per l’animazione?
In realtà la mia passione è la sceneggiatura. L’animazione è solo l’unico modo che ho trovato per realizzare le cose che scrivo. Prima, secoli fa, facevo cortometraggi con gli attori in carne e ossa, ma il risultato era troppo deludente, soprattutto dal punto di vista visivo, c’era sempre quella patina ineliminabile di amatorialità, non so se mi spiego. Con le animazioni, invece, per qualche strana magia, questa amatorialità scompare, o perlomeno non si nota più così tanto, anche se uno disegna in modo così semplice e schematico come me. Se poi a occuparsi del doppiaggio ci sono due professionisti straordinari come Guglielmo Favilla e Fabrizio Odetto, il gioco è fatto. Favilla e Odetto riescono a dare spessore e espressività a dei disegni bidimensionali e fondamentalmente statici. Il lato negativo di tutto ciò è che mi tocca disegnare, cosa che odio come poche, forse la odio anche di più che fare le pulizie di casa. Quindi diciamo che l’animazione, più che una passione, è una necessità.
Come hai scelto il tuo nome d’arte?
Era il nome che usavo da piccolo quando giocavo ai videogiochi. Un giorno dovevo inserire un nome per fare l’allenatore del Parma e la prima cosa che mi è venuta in mente è “Astutillo Smeriglia”. Mi è andata bene, poteva venirmi in mente “Gustavo Sfinteri”.
Com’è nata la serie Preti? A cosa ti sei ispirato?
Visivamente mi sono ispirato a Family Guy, che mi sembrava un’animazione abbastanza essenziale. Ma fondamentalmente il mio obiettivo principale è stato quello di non complicarmi la vita: una sfera come corpo, un cilindro per la testa, due puntini per gli occhi, un trattino per la bocca, niente naso. Meno c’è da disegnare, meglio è. Invece, per ciò che riguarda la scrittura, le ispirazioni sono involontarie e sono tutte quelle cose che mi piacciono e su cui mi sono formato: Woody Allen, Simpson, Monty Python, ma anche David Mamet e Harold Pinter. Poi penso sia stata importante anche la mia formazione religiosa. Ho frequentato la chiesa per tanto tempo, in gioventù, e tuttora trovo che l’Antico Testamento sia pieno di storie molto belle, anche se preferisco l’Iliade.
Quanto tempo di lavoro ha impiegato la realizzazione di una puntata?
Troppo. Per realizzare tutti i 24 episodi di Preti ho impiegato circa un anno e mezzo, forse qualcosa di più, quindi si può dire che impiego circa tre settimane a episodio, uno sproposito rispetto alla semplicità dei disegni. Pochi giorni per scrivere la sceneggiatura di tutta la serie, un anno e mezzo per realizzarla. Non è patetico?
I sottotitoli in inglese sono stati aggiunti per raggiungere un numero di persone maggiori?
Sì, li ho messi per poterlo mandare ai festival stranieri. Preti è un cortometraggio nato per essere “spezzettabile” in 24 episodi, ma rimane principalmente un cortometraggio unitario. I sottotitoli hanno permesso al corto di essere proiettato in tantissimi festival un po’ in tutto il mondo. A un certo punto ero lì lì per mandarlo anche a un festival a Dubai, ma poi mi sono ricordato che c’è una battuta su Maometto e così mi sono detto: facciamo di no, va’.
Hai detto che Preti è nata come corto pensato per essere “spezzettato” in 24 episodi. Personalmente mi è sembrato che qualcosa si perdesse nella versione “tutta intera”. Innanzitutto, complimenti per averlo pensato già diviso in episodi, è stata una tua idea? Ti è venuta per una futura distribuzione? Secondo te funziona meglio la divisione in episodi o meglio il corto?
Ho pensato di farlo suddivisibile in episodi perché era il periodo in cui andavano di moda le serie web, così ho pensato: quando finisce il suo giro nei festival, avrò anch’io una serie da caricare su YouTube. Comunque anche del corto tutto intero avevo tre versioni di durate diverse: 21 minuti, 20 e 15, in modo da poterlo mandare a festival con limiti di durata diversi. Per esempio, al David ho mandato la versione da 15. A questo proposito avrei un aneddoto. Quando sono state rese pubbliche le nomination, un gruppo su Facebook, notando che Preti in altri festival aveva una durata dichiarata di 21 minuti, ha pensato a un qualche tipo di imbroglio o favoritismo e ha iniziato a prendermi di mira. Io, che sono previdente, ho conservato tutti gli screenshot. Il post di denuncia diceva così, testuale:
“Scandalo al David. In nomination un corto della durata di 21 minuti. Supera di ben 7 (sic) minuti i 15 previsti dal regolamento. Diffondete. Vogliamo l’eliminazione del corto Preti di Astutillo Smeriglia”. E sotto un profluvio di commenti con insinuazioni, insulti e “TUTTI A CASA!”. Giuro. È stato ma mia prima shitstorm, molto divertente. Comunque, tornando alla domanda che mi hai fatto, io preferisco Preti tutto intero, in particolare quello nella sua versione da 21’, ma probabilmente dipende dal fatto che l’ho pensato così. È difficile essere obiettivi con se stessi.
La candidatura al David di Donatello ha influenzato in qualche modo alla notorietà della serie?
Non posso saperlo con certezza. L’impressione che ho è che la notorietà della serie sia stata principalmente merito dell’algoritmo di YouTube. La candidatura al David di Donatello è stata probabilmente utile per farmi arrivare qualche lavoro ben retribuito come sceneggiatore.
Pensi che l’animazione per adulti (di produzione italiana) possa trovare, in futuro, sostenitori e/o finanziatori fissi, in modo da poter dare stabilità al settore?
Questa è facile: no.
Che problemi hanno i prodotti animati italiani? Perché nonostante le competenze artistiche, e credo che le tue animazioni ne siano un esempio, non si “vedono in giro” prodotti di realizzazione italiana animati? I prodotti su cui puntano le produzioni italiane sono solo ed esclusivamente prodotti per bambini. Credi che ci siano pregiudizi sull’animazione in questo senso?
Sono domande che mi faccio anch’io e a cui non so rispondere. Da un lato mi verrebbe da dire che in Italia le “animazioni per adulti” non abbiano pubblico per motivi culturali, pregiudizi come dici tu, poi però penso che cose come I Simpson abbiano avuto tantissimo successo anche da noi, quindi non so cosa pensare. Forse c’è anche una pigrizia produttiva a fare qualcosa di diverso dal solito. Al tempo di Preti c’era una persona che si occupava della distribuzione, unica volta nella mia vita che ho provato a vendere un mio cortometraggio. Ricordo che è stato distribuito al cinema, nelle sale FICE, mentre con la televisione non c’è stato verso, né con Mediaset, né con la RAI. Eppure tanti altri corti che in quel periodo giravano i festival insieme a Preti, intendo corti “dal vero”, sono stati comprati e trasmessi non ricordo più su quale canale nazionale, forse era Canale 5. Ma forse qui il problema di Preti, più che l’animazione, è la satira religiosa. Penso che se vuoi piazzare un film in Italia, la satira religiosa non sia proprio la scelta migliore.
Attualmente stai lavorando ad altri progetti? Ci saranno altri tuoi lavori dopo Preti? Sempre per YouTube o per altri canali distributivi?
Al momento sto facendo un libro di fumetti. Ero convinto che non dovendo fare animazioni sarebbe stato tutto più semplice, invece è sempre lo stesso noiosissimo e odiosissimo lavoro ingobbente e frantumatore di polsi. Appena finisco questo libro riprenderò a fare video, forse farò anche una serie di animazioni tratta dal libro stesso. Per quanto riguarda la distribuzione, farò così: per le animazioni che mi portano via meno tempo darò la precedenza a YouTube, mentre per quelle più impegnative darò la precedenza ai festival, come una volta, sempre che i festival esisteranno ancora. YouTube è bello, soprattutto per le valanghe di insulti che ti arrivano, ma sento un po’ la mancanza dell’atmosfera dei festival: il pubblico in sala, conoscere altri autori, le cene a scrocco… quelle cose lì.
Generalmente, per gli altri tuoi lavori, da dove trai ispirazione? Ad esempio per Polchinski
L’ispirazione mi arriva dalla mia vita privata, soprattutto le cose che mi fanno innervosire. Quando una cosa mi fa innervosire, la prendo, ci rimugino sotto la doccia (le mie docce possono durare anche un’ora) e poi, quando sono riuscito a prendere il giusto distacco, inizio a scrivere. Può essere un post, una striscia o la sceneggiatura di un corto. Quando ho finito, mi sento meglio, anche se la bolletta dell’acqua ne risente molto. Polchinski è pieno di cose che mi fanno innervosire o cose che proprio ho dovuto subire, tutte trasformate e estremizzate. È la mia lotta interiore ogni volta che qualcuno vuole costringermi a fare una cosa che non mi piace, ma allo stesso tempo ho paura di spiacergli. Polchinski, di tutti i corti che ho fatto, è stato il più liberatorio. Quando ho finito di scriverlo mi è sembrato di togliermi un peso, anche se poi è iniziato il peso di doverlo disegnare.