
Alessandro Tonda, dopo la sua opera prima The Shift, torna sul grande schermo alla regia de Il Nibbio (trailer), atteso in sala dal 6 marzo. Il film racconta il periodo precedente agli eventi del 4 marzo del 2005, quando Nicola Calipari (Claudio Santamaria), Alto Dirigente del SISMI, sacrificò la propria vita per salvare quella della giornalista Giuliana Sgrena (Sonia Bergamasco).
Abbiamo avuto la possibilità di intervista il regista, il quale, oltre ad offrirci una panoramica sulla sua carriera ci ha parlato del processo di realizzazione de Il Nibbio. Ci ha lasciato, inoltre, dei preziosi consigli per chi aspira ad intraprendere la carriera di regista.
C’è un tipo di cinema o un regista in particolare che ti hanno influenzato e spinto a scegliere la carriera da regista?
Quando mi sono diplomato ho realizzato un documentario su un superstite della divisone Acqui. Da lì ho capito che il cinema era la forma d’arte che sicuramente mi interessava di più. I miei gusti come cinefilo sono sempre stati legati al genere. Dal thriller, l’action, lo spy fino ad arrivare anche al cinema d’autore. Quello che tento di fare nella mia carriera è unire un po’ la componente di intrattenimento con la componente autoriale, quindi cercare di creare un prodotto che permetta al pubblico di essere intrattenuto, che lo accompagni dentro una storia, per poi spingerlo ad affrontare tematiche profonde. Il mio primo film, The Shift, infatti, raccontava la vicenda di un ragazzino con una cintura esplosiva che aveva organizzato un attentato in una scuola. Quando mi hanno proposto Il Nibbio ho capito di avere davanti la storia di un uomo molto forte, che mi avrebbe permesso di creare un connubio tra la verità del fatto e la componente di intrattenimento. I miei registi di riferimento c’entrano poco l’uno con l’altro ma esprimono un po’ le due anime che mi affascinano. Per l’intrattenimento Tony Scott e per la parte un po’ più autoriale Alejandro González Iñárritu.
Quanto è stata fondamentale per te la gavetta? Pensi che i lavori che hai fatto come aiuto regia ti abbiano formato molto?
La gavetta è stata fondamentale. Lo studio è importante per darti delle conoscenze, poi fondamentali sono anche la cultura e la creatività, quelle non te le insegna nessuno. E poi ovviamente la gavetta. È stimolante e formativo poter lavorare sul set a fianco di altri registi e poter, quindi, imparare e, a volte, non imparare da loro. Con molti di loro ho capito come non avrei mai voluto lavorare nella mia vita. Tutto questo ti aiuta ad arrivare ad un punto in cui sai come si lavora e puoi sviluppare la libertà giusta per raccontare le storie a modo tuo.
Ci sono state delle esperienze in cui hai lavorato come aiuto regia che ti sono rimaste particolarmente impresse?
Sicuramente le esperienze di Gomorra – La serie, Suburra (il film) o Romanzo Criminale. Stefano Sollima per me è stato un grandissimo maestro. Queste esperienze sono state fondamentali perché mi hanno permesso di approcciarmi a qualcosa che prima in Italia non era stato ancora fatto. È stato davvero costruttivo aver potuto imparare facendo. Mi ha fatto crescere molto professionalmente.
Entriamo più nel vivo del Nibbio. Come è nato il progetto?
Sono stato contattato da Notorious Pictures, i produttori del mio primo film. Mi è stata proposta questa storia (scritta da Sandro Petraglia) che ho trovato incredibile. Ho capito di avere la possibilità di unire il genere ad un caso di cronaca così delicato. Da lì ho accettato ed è iniziato un percorso molto interessante di dialogo con la famiglia Calipari, con Il Manifesto, con Giuliana Sgrena e anche con il SISMI. Questi ultimi ci hanno dato una grandissima mano, ci hanno aiutato ad entrare molto bene nei dettagli operativi. Ne Il Nibbio abbiamo costruito fedelmente il loro modo di lavorare, abbiamo dato ai nostri servizi segreti una componente action molto interessante. È la prima volta che si vede un film con la giusta cifra di intrattenimento e una grande dose di realtà sui servizi segreti italiani. Nella realizzazione de Il Nibbio c’è stata, in generale, una grande attenzione alla verità.

Come sta andando la fase di promozione? Come ti fa sentire vedere le reazioni a caldo del pubblico in sala?
Considerato l’impegno e il tempo spesi per la realizzazione del film, sarà una grande soddisfazione vedere la reazione del pubblico, positiva o negativa che sia. Al momento abbiamo fatto delle proiezioni più mirate, come quella all’European Film Market di Berlino. Ma sono molto curioso di vedere come sarà la risposta di un pubblico più ampio quando il film uscirà in sala. Il Nibbio, al momento, è accolto bene. La cosa che mi ha colpito particolarmente di queste prime proiezione è stato vedere sempre qualcuno che si commuove durante gli ultimi minuti in sala, prima ancora della fine. Vuol dire che il film arriva dove deve arrivare.
Che rapporto hai con la critica?
Al momento positivo. Non essendo arrivato sulla scena come un autore, il mio rapporto con la critica e con la stampa è un po’ più defilato. Con The Shift la critica rispose molto bene, il film fu apprezzato. Le altre occasioni che ho avuto sono state per la serialità, ma lì è un discorso diverso, più complesso, c’è un’attenzione di un altro tipo. Il vero banco di prova, a questo punto, sarà proprio Il Nibbio.
Guardando prima The Shift e vedendo ora i temi che ricalca Il Nibbio, si ha come l’impressione che la tua cifra stilistica sia la messa in contatto tra intrattenimento e tematiche dal forte impatto sociale.
Sicuramente questo connubio lo sento nelle mie corde. Mi sento a mio agio nel fare cinema di genere e spero che nel mio futuro ci siano progetti che mi diano la possibilità di unire queste due anime. Poi non ti nascondo che ci sono dei momenti in cui sento il bisogno di fare qualcosa di più intimo, di affrontare temi più delicati e affrontarli non solo dal punto di vista narrativo ma anche stilistico. Mi piacerebbe trattare tematiche importanti come, per esempio, il riconoscimento degli esseri umani e delle volontà degli esseri umani. Un uomo che vuole amare un altro uomo, una donna che vuole amare un’altra donna e magari vogliono avere dei figli, con tutte le difficoltà che oggi, purtroppo, ne possono conseguire.
Qual è la tua opinione sul cinema italiano di oggi? In che direzione pensi stia andando e dove pensi che debba invece virare?
Sicuramente dobbiamo imparare qualcosa dagli altri paesi; siamo stati noi italiani ad insegnare il cinema a tutto il mondo e oggi siamo rimasti un po’ indietro. Nonostante questo, nel panorama italiano vedo comunque una grande rinascita dopo tutto quello che ha usato il covid-19. Sicuramente una chiave di miglioramento potrebbe essere ottimizzare le risorse, sperando che lo Stato aiuti le produzioni a ripartire. C’è il bisogno, inoltre, di svecchiarci un po’. Ci siamo adagiati su generi come la commedia, la rom com perché si pensa che questi siano i tipi film che tutti vogliano andare a vedere. Ma se non si dà un’alternativa questi sono gli unici prodotti che si possono effettivamente andare a guardare. Se si vuol ridare un po’ di linfa al cinema italiano bisogna offrire qualcosa di alternativo.
Cosa consigli a chi vorrebbe intraprendere la carriera di regista?
Quello che consiglio, intanto, è di crearsi la propria preparazione. Studiare, essere curiosi, sapere cosa c’è stato prima per poter guardare al futuro. E poi, ovviamente, di cercare in tutti i modi di entrare a fare esperienze sul set, in qualsiasi ruolo. Entrare in un set ti aiuta a capire come si fa un film, come si muove la macchina produttiva. Ti insegna anche, in parallelo, a sviluppare la tua creatività, ti spinge a creare e a scrivere le tue storie. Quando poi arrivi a fare la tua opera prima sei sicuramente più formato. L’ambito creativo è difficile e particolare, ma se sentite questo fuoco sacro seguitelo. Un’altra cosa fondamentale è rimanere umili e non smettere di imparare, il “sentirsi arrivati” non aiuta mai a lungo termine. Piedi per terra ma testa tra le nuvole.