Le parole sono importanti. Sono la prima scintilla e il motore della nostra immaginazione. Un’esperienza come quella vissuta in questi ultimi dieci anni da Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis, attraverso la loro “trilogia sulla parola” (Belva nera, Il solengo e Re Granchio), ha cercato in primis di cogliere questo, dando vita a un mondo immaginario che da Vejano ha attraverso tutto l’Oceano Atlantico per raggiungere Ushuaia, città situata nella terra dei fuochi argentina. Re Granchio non poteva che essere il degno capitolo conclusivo di questo percorso affascinante, lo slancio finale verso il mito di un perdente “herzogiano”, Luciano. Ma un grande tassello di questo percorso sono state anche le musiche, firmate in tutti e tre i film da Vittorio Giampietro, protagonista di questa intervista su tutto il processo di composizione delle musiche di Re Granchio, dalle prime idee al coinvolgimento di Giovanna Marini.
Come nascono le musiche di Re Granchio?
Le musiche di Re Granchio nascono dalla ricerca di sonorità che potessero raccontare, piuttosto che accompagnare. Essendo il terzo capitolo di una saga che si basa sulla parola, mi è stato sempre chiesto di provare a rendere la musica un elemento che potesse ricordarla. È stata una lunga gestazione, perché per rendere la musica narrativa abbiamo cominciato ad analizzare le sonorità del luogo dove si svolge il film, Vejano. Solo in un secondo momento siamo arrivati alla musica popolare. Io ho avuto la fortuna di lavorare sul set sin dall’inizio, tant’è che ho fatto cantare anche Alexandra Lungu, la protagonista della prima parte del film. Così come l’aria del luogo, i vari incontri con le persone trasmettevano la necessità di comporre uno stornello. Le nostre reference sono state Olmi, Pasolini, i documentari di Herzog e di De Seta, autori che hanno l’idea di prendere la musica e di renderla un “livello” che si interseca, si sovrappone, che va in sync, mentre altre volte esce. Così come la storia di Luciano, personaggio protagonista del film, ci è stata raccontata da chi vive lì, abbiamo deciso di conseguenza di vivere il posto.
Il film si conclude nella Terra dei fuochi argentina. Nel processo di composizione delle musiche sei stato influenzato da compositori argentini o sudamericani?
Un po’ sì, ma più sul lato degli ascolti. Volevamo farci influenzare dal luogo, come avevamo fatto con Vejano. Le riprese del film sono iniziate a settembre 2020, e i piani di lavorazione prevedevano di spostarsi in Argentina a novembre. Causa COVID a novembre non è stato possibile procedere con le riprese; e neanche Alessio Rigo de Righi, che vive con sua moglie – Agustina Costa Varsi, produttrice del film – a Buenos Aires, poteva proseguire con gli scouting in Ushuaia. A febbraio poi sono partiti solamente Matteo Zoppis, Gabriele Silli – interprete di Luciano – e Simone d’Arcangelo, il dop. Io ho continuato ad ascoltare tanta musica argentina, però poi ho un po’ abbandonato. C’è molto materiale comunque dietro Re Granchio, tra cui anche una canzone in spagnolo, ma registrarla da qui faceva perdere molto al risultato finale. Non c’è niente da fare: molte idee sono nate dagli incontri che ho fatto. Per dire, le percussioni le ho suonate io, ma strumenti come il flicorno e il basso tuba sono suonati da Antonio Moretti, direttore di banda di Vejano. Dopo la produzione giornaliera ci siamo fermati tanto a parlare con quelle stesse persone che dirigevamo, è stata questa la vera ispirazione. Lo scopo era rievocare lo spirito di tutti quei racconti che ascoltavamo.
Nei crediti possiamo scorgere il nome di Giovanna Marini, figura storica per la musica popolare italiana. Parlaci della collaborazione con l’artista.
Giovanna è una persona meravigliosa. Quando abbiamo deciso di inserire musica “cantata” ci siamo trovati di fronte a un problema col suono. Ma vorrei aprire un attimo una parentesi: io ho parlato tanto con Simone d’Arcangelo, che aveva, per la parte in Argentina, l’idea di ricreare attraverso la fotografia l’atmosfera dei quadri di Goya. Ho pensato allora che l’arrivo di Luciano in questa terra dovesse essere accompagnato da un coro popolare, che ha la caratteristica di essere come un affresco per la sua capacità di “cristallizzare” il suono. Tutti eravamo d’accordo. Durante le prove avevamo come reference un brano estratto da un album di Giovanna, I treni per Reggio Calabria. Ad un certo punto, dopo aver letto libri di Giovanna e aver approfondito i lavori della Rai sulla musica popolare fatti negli anni Cinquanta, ho capito che serviva quella voce storica per dare una credibilità al nostro lavoro. Lei è stata subito gentilissima e disponibile a conoscere il progetto. Dopo aver riadattato i testi con Matteo, ci siamo recati a casa sua e abbiamo registrato con lei e una sua amica, corista e non professionista, varie linee musicali. Il tutto attraverso una tecnica di ripresa del suono vicina ai lavori di De Seta e della Rai: due microfoni e pochi ritocchi in post-produzione, per far sì che ci avvicinassimo a quel tipo di suono degli anni Cinquanta. Giovanna è stata fondamentale, ci ha trasmesso quella voglia di rendere fruibile a tutti “l’onestà” della musica popolare – quel far sentire “tue” determinate parole.
Re Granchio è un film che completa una trilogia per Rigo de Righi e Zoppis, partita nel 2013 con Belva nera e proseguita con Il solengo e, appunto, il film sopracitato. È stata un’idea nata con il primo film o un progetto nato in futuro, nelle fasi di riprese e postproduzione?
È una storia molto divertente. Mentre giravamo Belva nera, un corto autoprodotto nato da un’idea di Alessio e Matteo, le persone del posto ci raccontavano la storia di Mario di Marcella, protagonista de Il solengo, che intrigava i registi. Allora, Tommaso Bertani, produttore della Ring Film, che aveva apprezzato molto il corto, si è offerto di produrre Il solengo. Questo secondo film ha avuto una gestazione un po’ più lunga, anche per la sua durata. E durante le riprese, un’altra persona ha iniziato a raccontarci la storia di Luciano, una storia di difficile trasmissione, essendo di inizio Novecento e legata ad un emigrante, per cui l’epilogo non era chiaro. Quindi, dopo un corto basato su una leggenda metropolitana e un documentario su un racconto orale, abbiamo pensato di completare questa “trilogia della parola” con il mito. Tutto è sempre nato da uno spunto durante le riprese. Matteo dice sempre che una trilogia ce l’aveva in mente sin dal primo momento, Alessio la guardava con speranza.
Il percorso sul grande schermo del film è affascinante. Partito da Cannes a luglio e ora consacrato dalla nomination ai David di Donatello. Cosa ha significato per voi tutto ciò?
Innanzitutto, devo dire che sono felicissimo per questa nomination. Alessio e Matteo hanno un grandissimo talento, visibile sullo schermo, e umanamente sono delle persone fantastiche che ti spingono a tirar sempre fuori qualcosa in più. Re Granchio significa tanto per noi, abbiamo voluto fare più di un semplice film. Non faccio discorsi di lavoro, professionalità, faccio un discorso emotivo: quando vivi un film, e vivi quello che ti piace fare, riesci a farlo quel “salto”. Alessio e Matteo in ogni intervista hanno sempre detto che c’è bisogno di parlarne di Re Granchio, per far sì che arrivi a più persone possibile. E all’estero sta avendo una grande distribuzione: è uscito in Francia, negli Stati Uniti, su MUBI e sta girando ancora tanti festival. La cosa bella per noi è proprio questa: stiamo vedendo il riflesso di quello che abbiamo raccontato, la storia di un mito.
Andando oltre questo progetto, cosa significa per te comporre musica per un film e, di solito, qual è il suo approccio a questo tipo di lavori?
La mia passione, più della musica, è il cinema. Ho una passione totale. Sin da piccolo mia madre mi faceva vedere tantissimi film, da quelli di Chaplin e Keaton a quelli degli anni Cinquanta. Quello che negli anni ho appreso è che la musica, arrivando sempre prima, deve fare “un passo indietro”. Qualsiasi musica io faccia per un film, cerco il suono giusto per quest’ultimo, la sua “pasta sonora”. Capita spesso che tu abbia il film finito e devi solo lavorare alle musiche, o come per Re Granchio di avere la sceneggiatura prima delle riprese. Ma io lavoro sempre con quell’approccio: far sì che la musica arrivi dopo. E poi tolgo molto. Mozart diceva che la musica è il silenzio tra due note, ed è molto importante non solo il respiro, ma proprio l’idea, soprattutto nella musica per il cinema, che non serva troppo. Re Granchio ha una semplicità di suono, ma è suono vero, registrato nel teatro di Vejano con il maestro che suona il flauto, con tanto di respiri conservati sul film. Cerco di vivere la musica per il cinema come se fosse il cinema, parafrasando Dino Risi. Io non ho un approccio da compositore classico, giro molto e cerco di prendere tutto.
Per concludere: progetti futuri?
Io ho finito da poco la colonna sonora per un film che si intitola La terra delle donne, una storia popolare ambientata in Sardegna. So anche che Alessio e Matteo stanno lavorando a qualcosa. Poi oltre al cinema faccio moltissime cose a teatro, da poco ho curato le musiche per uno spettacolo di danza, un’altra grande passione. In generale spero, in futuro, di fare più film possibili dove si ricrei quest’atmosfera di “cinema anni Settanta”. Non è importante il dove, ma sempre il come. È questo il punto.