«Welcome to whatever this is». Bo Burnahm saluta gli spettatori, non il pubblico. Perché per Inside l’unico pubblico possibile è quello virtuale. Scritto, diretto e montato dal comico statunitense – che nel 2018 ha esordito alla regia con Eight Grade – Inside è il nuovo speciale Netflix, ambientato interamente in casa sua durante la quarantena. Ma che cos’è Inside? È il frutto della claustrofobia, della solitudine, si può davvero definire uno speciale?, deriva dalla frustrazione, potrebbe essere un documentario. Sicuramente è post-comedy.
«Should I be joking in a time like this?» si chiede Bo Burnham nella canzone che apre lo “show”. Ebbene, se può farlo (ma soprattutto se può non farlo in uno speciale comico) è proprio perché la forma più interessante di commedia degli ultimi anni è la post-comedy. Di esempi del filone su Netflix ce ne sono, tra cui il fantastico Nanette di Hannah Gadsby, e spesso sono anche i più discussi. Non meraviglia dunque che la piattaforma di streaming accolga questo nuovo esperimento.
Perché Inside è, tra le altre cose, anche un esperimento, in primis per il suo autore. Se infatti per gran parte del tempo Burnham ricorre alla musica per divertire, modalità già apprezzata in Make Happy (sempre disponibile su Netflix) l’incertezza per quanto sta facendo viene esplicitata più volte. E non solo a causa della forma nuova, molto più vicina a quelle del web che della stand-up comedy, ma perché in fin dei conti, a chi potrebbe interessare? E invece Inside interessa, per alcuni versi cattura lo spettatore, e non di certo per la risata, perché anche se è quella a spianare la strada, ciò che poi la percorre è ben diverso.
Bo Burnahm si riprende in quarantena e riflette su di essa, soprattutto sul tipo di intrattenimento che così tanto ha caratterizzato quei giorni: Instagram, Youtube, Twitch – la piattaforma che forse più di tutte è esplosa in quel periodo, modificando abitudini di creator e consumer. Tramite sketch solo all’apparenza nonsense lo spettatore rivive quel lasso di tempo con tutti gli stati d’animo che lo hanno contraddistinto e di cui ancora si percepiscono gli strascichi. Burnahm rende partecipe chi guarda di momenti davvero intimi, condivide con chi è dall’altra parte dello schermo, tanto da far sì che si instauri una dinamica quasi da social.
Ed è curioso che ciò avvenga e soprattutto venga ricercato dal comico, che nello speciale precedente, Make Happy, aveva parlato del culto della self-expression ad ogni costo, dei social-media come risposta del mercato ad una generazione il cui bisogno più grande era esibirsi. Ma in cinque anni – il tempo trascorso da quello speciale – le cose sono parecchio cambiate per Bo Burnham, che nel frattempo ha smesso di calcare i palchi (il motivo viene spiegato proprio in Inside tra l’altro). E se a venticinque anni affermava, parlando alla generazione dei social «se riesci a vivere la vita senza un pubblico, dovresti farlo», a trenta invece è lui a non riuscirci e a cercarlo, un pubblico.
E proprio come sui social, mentre si assiste al tracollo psicologico del comico, le emozioni che si provano sono parecchio contrastanti e viene inevitabilmente da chiedersi quanto ci sia di vero e dove finisca la messa in scena. Perché come sui social i confini tra verità e performance sono sfumati, eppure riesce a farsi strada una sensazione di meschino sollievo: che sia tutto vero o meno non importa, in quel tracollo, nonostante appartenga a un uomo privilegiato (e ben consapevole dei suoi privilegi) ci si riconosce lo stesso. E in definitiva poter ridere grazie a Bo Burnham e alla sua post-comedy di un momento che è ancora difficile scrollarsi di dosso è l’unica cosa che conta