È il 1977 quando Steven Spielberg, reduce dallo storico successo de Lo squalo (1975), ottiene la concessione di Columbia per dare ampio sfogo alla sua vena creativa. Il risultato fu Incontri ravvicinati del terzo tipo. Si tratta di una pellicola che, ancora oggi, è in grado di affascinare lo spettatore con degli effetti visivi ben invecchiati ed è cardine della regia spielberghiana, dove l’assenza conta più della presenza.
Proprio come per Lo squalo, anche Incontri ravvicinati del terzo tipo tende a nascondere il più possibile la sua creatura protagonista, in questo caso gli alieni. In oltre due ore di film, lo spettatore ha modo di osservare solo qualche sporadica apparizione di navicelle aliene, mentre deve aspettare la fine per poter ammirare le reali sembianze della creatura. La tanta attesa viene finalmente ripagata, premiando lo spettatore per aver seguito una storia caratterizzata da alti e bassi e che spesso stenta a decollare.
La durata del film rema però contro la struttura della storia e l’attenzione spettatoriale. Spielberg ricorre a semine di indizi diradate tra loro e che rischiano di andare perdute nel mare magnum di informazioni che la pellicola propina allo spettatore. La mancanza di spessore nel protagonista e un subplot amoroso appena accennato sono elementi che rischiano di far perdere interesse e concentrazione a chi guarda. Due sono le trame che ci vengono proposte, destinate ad intrecciarsi verso la fine del film, mentre a livello di montaggio tendono ad incrociarsi molto spesso, a volte in modo disordinato.
Viene naturale pensare a Martin Brody (Roy Scheider) de Lo squalo quando vediamo Roy (Richard Dreyfuss) di Incontri ravvicinati del terzo tipo. Entrambi sono guidati dall’ossessione nel voler dimostrare un’esistenza a cui nessun’altro crede. Questo li porta a seguire la propria strada accompagnati da quei pochi personaggi secondari che hanno fiducia in lui. Il termine “ossessione” descrive a pieno il percorso di Roy nell’arco del film, motivando tutte le sue azioni (anche le più folli). Dopo un lungo percorso da soli, però, c’è la gratificazione. Ecco quindi che Roy non solo vede gli alieni dal vivo, ma parte con loro nello spazio.
Come per Lo squalo, anche in questo caso Spielberg ripropone il binomio protagonista-autorità, dove il primo cerca di far venire a galla la verità in ogni modo possibile, il secondo insabbia la vicenda per non danneggiare i propri scopi o interessi. In Incontri ravvicinati del terzo tipo, infatti, i militari diffondono la falsa notizia di un gas nocivo, facendo evacuare cittadini e studiando gli alieni indisturbati. Nel vedere queste immagini, ritorna in mente il comportamento del sindaco di Amity che nega l’esistenza dello squalo pur di non far chiudere la spiaggia.
Incontri ravvicinati del terzo tipo, quindi, sceglie la strada del suo predecessore. Gli alieni, come lo squalo, vengono descritti attraverso la loro forza distruttrice sull’ambiente circostante. Spielberg ci mostra le fattezze dell’alieno a fine film, servendosi delle immense doti di Carlo Rambaldi per la creazione del modello e degli effetti speciali. A ciò si accompagna la grande attenzione per la colonna sonora che, caratterizzata da cinque semplici note, emula il linguaggio alieno, anch’esso tarato su questo sistema comunicativo. La fama di un regista come Spielberg passa anche da quest’opera, dove ha dato sfoggio alla sua creatività in totale libertà, cosa che nel cinema odierno si vede sempre più di rado.