Luna. Terra. Dietro, il sole. Un crescendo di note trionfali, epiche. Colpi di tamburo. Sulla sinfonia della celebre Così parlò Zarathustra di Richard Strauss si spalanca l’universo. Poi, il buio. Sono passati a malapena due minuti e 2001: Odissea nello spazio (trailer), ci ha già trascinati in uno dei più grandi film della storia del cinema.
Diretto, prodotto e co-scritto dal genio di Stanley Kubrick e uscito in anteprima mondiale il 2 aprile 1968 a Washington D.C., il film è diventato un cult, il massimo esempio del genere fantascientifico e un’indiscussa icona cinematografica. Oggi, dunque, 2001 compie 55 anni. Eppure, che lo si guardi per la prima o per la decima volta, non risulta invecchiato.
Il film è ambientato per la maggior parte nel futuro, in particolare all’alba del nuovo millennio, tempo che per noi è trascorso da più di vent’anni. Ciononostante, l’episodio iniziale è dedicato ad un pianeta Terra antecedente all’avvento dell’uomo, e non mancano riferimenti al presente in cui fu girato il film, gli anni Sessanta. Da una parte, come detto, 2001 non ha età; dall’altra, però, intreccia diverse temporalità, mescolando passato, presente e futuro. È proprio nell’universalità e immortalità della storia e delle immagini che si nasconde il segreto dei grandi film, quelli che rimangono scolpiti nella mente e nell’immaginario degli spettatori. Dai rivoluzionari Sessantottini alla generazione Z, passando per il pubblico che ha assistito allo sviluppo del digitale, è pressoché impossibile non restare a bocca aperta davanti a quello che è a tutti gli effetti uno spettacolo, meravigliati dalla lungimiranza e dall’attualità di questo caposaldo del cinema.
Dispiegando l’intreccio di temporalità, innanzitutto si può notare come diversi elementi parlino di un tempo passato. La prima sequenza, infatti, dopo l’ouverture nello spazio, si svolge sulla Terra, milioni di anni prima del XXI secolo. Due gruppi di scimmie vivono a contatto e in lotta fra di loro, scoprendo la violenza, che sarà la spinta decisiva all’evoluzione verso l’homo sapiens. In secondo luogo, l’utilizzo della parola “Odissea” per descrivere questo viaggio spaziale rimanda direttamente al poema epico greco dell’VIII secolo a.C. E poi ancora, le musiche più emblematiche, composte dai due Strauss, portano indietro alla seconda metà dell’Ottocento. Nonostante il film mostri principalmente un tempo – ancora oggi abbastanza lontano – fatto di viaggi spaziali e sofisticate tecnologie futuristiche, la scelta di accompagnarlo con dei brani classici è meno immediata, ma anche meno banale rispetto, ad esempio, all’impiego di musica elettronica. Infine, perfino l’arredamento in stile Luigi XVI presente nell’ultima sequenza è una citazione ad un tempo passato, e inserisce un frammento di vita Settecentesca all’interno del racconto.
Se si passa a riflettere sul presente, invece, inteso come la contemporaneità in cui fu girato il film, si può fare caso al fatto che l’ombra degli anni Sessanta aleggia in diverse scelte. L’arredamento e gli abiti della scena ambientata nella stazione spaziale rivelano i gusti dell’epoca, in particolare le poltrone magenta progettate nel 1965 da Olivier Mourgue. Allo stesso modo, la sequenza quasi psichedelica sul finale può essere un rimando agli effetti delle sostanze stupefacenti, consumate con sempre maggiore frequenza durante quei decenni inevitabilmente segnati dalle droghe.
Un’altra citazione può trovarsi nei personaggi degli scienziati russi, sempre nel secondo episodio, probabile riferimento alla Guerra Fredda e alla risoluzione pacifica in cui si sperava anche essendo nel pieno delle tensioni. La loro presenza potrebbe essere la previsione di un futuro di collaborazione tra Unione Sovietica e Stati Uniti, allo scopo di colonizzare la Luna e scoprire nuovi pianeti. Lo stesso allunaggio, missione compiuta appena un anno dopo la distribuzione del film, era un tema molto discusso e vivace al tempo, nonché uno dei motivi che rendevano ulteriormente agguerrita la competizione tra americani e sovietici.
Il futuro, infine, è senz’altro protagonista: a partire dall’ambientazione, 33 anni dopo la produzione del film, tutto parla di avvenire, in una previsione per la maggior parte utopica e ancora oggi non realizzata. Questi elementi vanno dall’intelligenza artificiale di HAL 9000 all’uso di scarpe antigravità, passando per le navicelle accuratamente progettate, le tute spaziali dettagliate e verosimili e arrivando alle comunicazioni istantanee con il supercomputer, in una previdente anticipazione degli odierni assistenti vocali.
I film di fantascienza sono per antonomasia quelli che proiettano il proprio sguardo il più lontano possibile, immaginando un avvenire tecnologico, digitale, avanzato e che, come in questo caso, ancora oggi sbalordisce per la straordinaria lungimiranza. L’intreccio del tempo percorre tutto il film, dunque, così come la circolarità dello stesso: ne sono un esempio il compimento di un viaggio (un’odissea, appunto) che inizia con un’inquadratura della Terra e si conclude allo stesso modo. Circolare è anche la rappresentazione dell’esistenza dell’uomo: si assiste allo scorrere della vita del protagonista dalla vecchiaia al ritorno ad uno stato fetale.
Gli studi, le riflessioni, le citazioni e le discussioni su 2001: Odissea nello spazio sono innumerevoli. Non sono mancate le occasioni di riproporlo al cinema in versione restaurata, in concomitanza degli anniversari dalla sua distribuzione o proprio nell’anno in cui si svolge la storia. E sono parecchie anche le volte in cui altri film ne hanno riproposto e riutilizzato sequenze emblematiche e significative. A più di mezzo secolo di distanza, insomma, sembra che quest’opera non sia destinata ad essere dimenticata o rivalutata, entrando di diritto nell’Olimpo dei migliori film della storia.
Ma che cosa rappresenta, nel 2023, questo film uscito nel 1968? Le risposte, chiaramente, potrebbero essere le più disparate. In questa sede ne diamo solo una: è uno spettacolo. Come lo stesso Stanley Kubrick commentò a proposito delle ipotesi sul significato del film «[…] ho cercato di rappresentare un’esperienza visiva, che aggiri la comprensione per penetrare con il suo contenuto emotivo direttamente nell’inconscio». Un film che presenta più silenzi che dialoghi, in cui la musica e i rumori diventano protagonisti, che mostra un futuro ancora oggi difficile da contemplare, che dipinge in modo così accurato e futuristico un mondo fatto di tecnologia e spazio, non può che essere spettacolarità tradotta in pellicola.
Sarebbe impossibile, forse ingiusto, tentare di incasellare l’opera di Kubrick in poche righe o tentare di esaurire i dibattiti che in 55 anni vi sono sorti attorno. Ma una cosa si può affermare con certezza: 2001: Odissea nello spazio non è solo un film. È un’esperienza, un viaggio, un’immersione nel passato e un salto verso il futuro.
Non resta, quindi, che farsi rapire ancora una volta, che sia la prima o l’ennesima visione, dalla danza delle astronavi e dei satelliti sulle note di Sul bel Danubio blu, dalla simmetrica fotografia kubrickiana che appaga l’occhio dello spettatore, dai respiri del protagonista che si allineano con il nostro, dalle scene senza gravità in cui i personaggi camminano sul soffitto, dalla sequenza caleidoscopica che trasporta il protagonista e lo spettatore in altri mondi e tempi. Non resta che abbandonarsi a questo spettacolo visivo, celebrando la grandezza di Stanley Kubrick e l’immortalità di 2001: Odissea nello spazio.