Il sesso degli angeli, la recensione: ridere non basta

Il sesso degli angeli recensione film Pieraccioni Dasscinemag

Poco infiamma di più l’animo di noi italiani quanto il sesso e la religione, forse solo il calcio e l’ananas sulla pizza. Per questo il nuovo film di Leonardo Pieraccioni, Il sesso degli angeli (trailer), è coraggioso, perché gioca con sacro e profano inserendoli in una commedia che ricalca in pieno lo stile del regista.

Dimentichiamoci il latin lover di Firenze, perché questa volta il protagonista è Don Simone (Leonardo Pieraccioni), parroco di una piccola comunità toscana con molte idee per avvicinare i giovani alla Chiesa ma poco denaro per realizzarle. Come un aiuto divino, arriva l’eredità di uno zio (Massimo Ceccherini), che gestiva un’attività tanto proficua quanto misteriosa a Lugano. Ben presto Don Simone e il suo fedele sagrestano (Marcello Fonte) si renderanno conto che quello che sembrava un bar di lusso, è in realtà una casa di piacere, dove cinque ragazze lavorano sotto la custodia di Lena (Sabrina Ferilli). Don Simone dovrà scegliere se tenere l’eredità e reinvestirla nello svecchiamento della parrocchia, facendo dei compromessi con la fede o rifiutarla e tornare ad essere povero ma integro moralmente.

Fin dalla sinossi si schiudono infinite possibilità comiche e in effetti il film è divertente. Pieraccioni si conferma un professionista che calca le scene da trent’anni e, insieme a Filippo Bologna, riesce a scrivere un personaggio su misura per lui. Nota di merito va a Marcello Fonte, che al suo primo ruolo comico si rivela naturalmente portato al genere. Potrebbe sembrare esagerato in alcuni momenti, ma chi ha avuto l’occasione di frequentare una parrocchia di provincia, ci avrà trovato personalità certamente più eccentriche di lui.

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Quindi finalmente abbiamo una commedia divertente che parla di prostituzione in maniera contemporanea, che scherza sul rapporto tra Chiesa e sesso ed evita quell’effetto pat pat sulla spalla delle povere ragazze costrette a “fare il mestiere”? Direi proprio di no. Il regista è da lodare per aver riaperto un argomento importante, ma lo fa partendo da presupposti errati, adottando un punto di vista univoco, ovvero il proprio. È naturale che chi gira un film porti la propria visione del mondo, ma su un argomento così controverso è necessario sentire le diverse parti, evitando il paternalismo. Pieraccioni invece non aggiunge nulla di nuovo al discorso sul sex work, riportando pensieri comuni e rassicuranti per il grande pubblico, senza aprire uno spiraglio alle nuove idee che si stanno facendo strada tra le nuove generazioni.

Siamo lontani dal meraviglioso Adua e le compagne di Antonio Pietrangeli, che all’indomani della Legge Merlin, aveva tratteggiato la storia di quattro donne costrette a reinventarsi dopo l’abolizione delle case chiuse. Pietrangeli ci restituisce delle donne tridimensionali, reali, che si raccontano attraverso il loro passato e le proprie fragilità. Avrei voluto che anche le donne di Pieraccioni avessero lo spazio per parlare di sé e invece a stento parlano. Se lo fanno è per interfacciarsi con un uomo. Vero è che non tutti vogliono andare al cinema e uscirne riflettendo sui temi scottanti della contemporaneità. Qualcuno vuole semplicemente ridere. Mi chiedo però se non si possano fare entrambe le cose, come faceva la compianta commedia all’italiana e far sorridere proprio delle amare contraddizioni che abitano tutti noi. Abbiamo perso un’altra occasione per sdoganare qualche tabù. Con Il sesso degli angeli si ride, ma credo che ormai non sia più abbastanza.

Al cinema dal 21 aprile.

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