Il robot selvaggio, la recensione: una famiglia non di sangue ma di spirito

il robot selvaggio

Il robot selvaggio (trailer) è scritto e diretto da Chris Sanders, già regista dei fantastici capolavori di Lilo e Stitch (2002), Dragon Trainer (2010) e I Croods (2013). Anche questa volta il suo tratto artistico si è fatto ben notare. In un mondo dove se ne sentono di tutti i colori, Chris Sanders pone al centro delle sue opere, e di fatto anche qui ne il robot selvaggio, il concetto di famiglia, in ogni suo snodo e sfaccettatura. Un dogma che è stato a lungo sondato dal regista, passando dalle principali famiglie “tradizionali”, “allargate” e “di fatto” dei Croods e di Lilo e Stitch; per rivoluzionarlo poi, al passo con i tempi, in altri iconici prodotti quali Dragon Trainer e, per l’appunto, il nostro nuovo film.

Infatti, se nel primo lungometraggio del nostro amato draghetto nero dagli occhi verdi l’idea di famiglia si plasma e si allarga a nuove creature amiche dalle ali squamate, fino ad una perfetta convivenza pacifica, in questo nuovo capolavoro DreamWorks, Chris Sanders disegna una nuova linea di confine di questa ideologia, dichiarando pubblicamente che una famiglia non è solo quella di sangue, ma anche (e soprattutto) quella di spirito. Animi e circuiti affini che si scelgono e si uniscono per puro istinto amorevole, sentimentale e familiare, per diventare qualcosa di molto più ampio e profondo, al di là della propria destinazione d’uso. Esattamente quello che fa la nostra protagonista robotica Rozzum 7134 (Lupita Nyong’o), detta “Roz” dai suoi amici animali, che, dopo essersi persa su un’isola deserta e selvaggia, si ritrova ad accudire una piccola ochetta, Beccolustro (Kit Connor), riadattando la sua intera esistenza verso un futuro ignoto, fuori dai suoi obiettivi prefissati.

La nostra protagonista, dunque, durante la sua fase evolutiva e la corrispettiva introduzione nello stato di madre, non solo apprende per imitazione il comportamento genitoriale animale, ma riesce in primis a seguire l’istinto emozionale, by-passando i suoi circuiti limitanti di metallo e fili. Difatti Roz improvvisa, per la maggior parte del tempo, le sue elaborazioni, decisioni e azioni, dettate ormai, sempre più spesso, non dalla testa ma dal proprio cuore “di ferro”. Una lotta verso se stessa e ciò che ritiene di essere, ma che alla fine si rivela, per puro caso o meno, solo l’inizio del suo percorso di crescita. Dopotutto, citando le sue testuali parole: «A volte, per sopravvivere, dobbiamo diventare più di quello per cui siamo programmati».

Ripreso dall’ omonimo scritto letterario del 2016, primo di una trilogia per ragazzi, di Peter Brown, Il robot selvaggio è un veicolatore di messaggi positivi e morali. Un educatore sopra le parti che, con immagini spettacolari e frasi significative, rende consapevoli i vecchi e i nuovi osservatori in sala di vivere meglio in un mondo migliore.
Per fare ciò, il percorso narrativo del film parte a tutta velocità con la sua azione, schiaffeggiando lo spettatore a suon di battute e lezioni importanti, per risvegliarlo dal torpore della sua partecipazione passiva e introdurlo attivamente nelle dinamiche profonde e personali della storia. Il pubblico è, quindi, coinvolto da subito in quel piccolo ecosistema animalesco, invogliato ad adattarsi, emozionarsi e a rimanere incollato alla sedia, dall’ inizio alla fine del film, per seguire le evoluzioni interpersonali di questa meravigliosa combriccola selvaggia. Una vera e propria famiglia sui generis che ci fa sentire a casa.

Pertanto Il robot selvaggio è un capolavoro su tutti i fronti, che cattura l’ attenzione di ogni generazione di visitatore anche per al sua costruzione animata, tipicamente mista tra la computer grafica 3D della protagonista e dei personaggi selvaggi, dei movimenti di camera all’ interno dell’ ambiente boschivo, con la peculiare scelta di una colorazione a pennellate, consueta di un quadro pittorico. Una decisione artistica alquanto innovativa e accattivante, ma che sicuramente ha subito delle massive influenze dal suo predecessore Il gatto con gli stivali 2 (2022). Dunque, dallo studio dei materiali, alla vasta gamma di colori, alle micro espressioni animali, fino a quella oculare accuratamente calibrata di Roz, la direzione artistica di questa pellicola ha puntato tutto al solo scopo di mettere, una volta per tutte, la sua firma stilistica nel mercato panoramico cinematografico.

Ruolo fondamentale ha avuto, quale chiave di volta de Il robot selvaggio, lo studio psicologico dell’Imprinting di Konrad Lorenz. Non è altro che un legame immediato, profondo e irreversibile, che nel caso del film di Sanders si dipana in entrambe le direzioni: quello classico dell’ochetta che associa come soggetto genitoriale la prima figura in movimento davanti ai suoi occhi e quello inusuale di Roz che, inizialmente distaccata, si sbilancia poi verso un forte attaccamento nei confronti del figlio adottivo Beccolustro. Un’ influenza reciproca che crea, rispettivamente, scene divertenti agli occhi del pubblico, per trasformarsi poi in confronti familiari emotivamente provanti.

il robot selvaggio

Inoltre, Il robot selvaggio è stato costruito come una storia che potremmo dire ambivalente, di due prospettive del rapporto familiare, comprensibile da entrambe le parti. La prima di una madre che si immola per accudire il suo piccolo, nonostante nessuno gli abbia fornito un manuale di istruzioni, e la seconda, di una prole ormai cresciuta, che realizza il valore unico e fondamentale di un genitore all’interno della propria vita. Però, il film non parla solamente della lineare ma intricata dinamica madre-figlio, ma si estende, come detto prima, alla concezione generale di famiglia comunitaria, di gruppi, generi e specie, che per causa di forza maggiore devono imparare a convivere in un unico ambiente a loro ostile. Difatti Roz non solo si interfaccia, si modella e comprende i suoi nuovi vicini pelosi e piumati, ma si pone come una saggia maestra di vita, per il coraggio, lo spirito e il cuore di tenerli tutti uniti.

Il robot selvaggio si decreta sicuramente un innovativo caposaldo della casa d’animazione americana, una nuova colonna portante di una neonata era narrativa, ricca di storie e principi di un certo spessore. Un lavoro d’eccellenza che ha ottime prospettive di proclamarsi vincente sia nello storico cinematografico contemporaneo, sia nei cuori e nelle menti delle attuali e future famiglie “in formazione”.

In sala dal 10 ottobre.

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