Con due brevi frasi che introducono il soggetto del suo primo docufilm, il regista emergente Gaetano Maria Mastrocinque ci catapulta in una realtà fatta di stendardi, cavalli e cavalieri, in un’ottima restituzione di una delle tradizioni più significative per la città di Arezzo: la giostra del Saracino. Il re delle Indie (trailer) prende il nome dell’attrazione principale del torneo, ovvero un «automa corazzato munito di flagello», anche chiamato buratto, contro il quale il cavaliere deve scontrarsi centrando con una lancia il numero più alto all’interno del tabellone attaccato al suo scudo.
Un gioco di origine medievale che acquisisce un senso altro per i cittadini in quella che, da anni, si tramanda come una vera e propria sfida tra i cavalieri dei quattro principali quartieri della città, ovvero Porta Crucifera, Porta Sant’Andrea, Porta del Foro e Porta Santo Spirito. Difatti, il torneo non viene vissuto solo come un evento ludico ma, al contrario, genera un sentimento di viscerale appartenenza da un lato e competitività dall’altro; una forte componente emotiva, dunque, che talvolta è sfociata in avversità e disordini, come dimostrato nel materiale d’archivio. Due elementi che potrebbero essere difficili da comprendere per chi non ha vissuto questa tradizione sulla propria pelle ma che, grazie alla maestria dimostrata da Mastrocinque nel legare tutti i frammenti (materiali d’archivio, interviste e riprese sul campo) in un flusso omogeneo, emergono chiaramente nel corso del film.
Il docufilm si potrebbe dividere in due atti: nel primo conosciamo uno dei protagonisti storici del torneo, Martino Gianni, anche chiamato il Re della Piazza, la cui intervista fa da filo conduttore tra il presente e il passato (non a caso è stato il cavaliere con il maggior numero di vittorie: ben 13 sulle 39 corse da lui disputate). Alle interviste si aggiungono i materiali d’archivio che vengono mostrati anche mediante l’uso di split screen con un montaggio serrato e che hanno un ruolo fondamentale per riuscire a far immergere lo spettatore nell’atmosfera extra-quotidiana che si respira non solo nel torneo ma anche nei giorni precedenti ad esso.
Nel secondo atto invece Mastrocinque pone il focus sulla 138° edizione della giostra, avvenuta nel 2019. La restituzione non appare didascalica e abbandona quasi del tutto il suo intento documentaristico per raccontarci una storia in cui Gabriele Innocenti, cavaliere del quartiere di Porta del Foro, è protagonista. Il ventiquattrenne diventa ai nostri occhi un vero e proprio “personaggio”: dedito al torneo fin da quando vestiva i colori del suo quartiere nel ruolo di paggetto, deve fronteggiare dei veri e propri miti, tra cui Il cecchino e il Nuovo Re della Piazza, per tentare di spezzare il “digiuno” di vittorie durato ben 12 anni.
Una musica ritmata accompagna il rumore degli zoccoli del cavallo e il fragore della lancia sullo scudo, la folla esulta e i commentatori esprimono i loro pareri fino al momento in cui, in religioso silenzio, si attende il responso finale. Uno spettacolo emozionante quello della prima batteria di cavalieri, che ci viene mostrato integralmente ma in modo dinamico. Gabriele è pronto a mostrare i frutti del suo duro lavoro, ha solo pochi minuti per agevolare il cavaliere che correrà dopo di lui e assicurare, in parte, la vittoria a Porta del Foro, ma la sua performance viene penalizzata dai tifosi di Porta Santo Spirito.
Ci sono attimi di confusione ma a Gabriele viene permesso di ripetere la gara, ed è un punteggio pieno quello che ottiene dimostrando di essere meritevole della riposta dai suoi concittadini. La seconda batteria ci viene mostrata con veloci carrellate per poi arrivare all’esultanza finale, elemento che, però, non chiude definitivamente il docufilm, che si spinge oltre mostrandoci uno a uno i protagonisti di questa storia e ciò che è successo negli anni a seguire. Un lavoro ben fatto quello di Mastrocinque capace di parlare a tutti, anche a chi non ha mai sentito parlare della giostra del Saracino, e instillare nello spettatore un sentimento di ammirazione, se non passione, per questa secolare tradizione.