Un sorprendente e inedito ricordo del dietro le quinte de Il Postino, ultimo film del compianto Massimo Troisi, morto un giorno dopo la fine delle riprese, raccontato con grande entusiasmo e commozione da Gaia Gorrini, l’aiuto regista del film.
Cara Gaia, come hai ottenuto l’incarico di aiuto regista del film?
“Avevo lavorato un anno prima alla lavorazione di Nottataccia, prodotto dalla Esterno Mediterraneo Film, la casa di produzione di Troisi. Quando stava per iniziare la preparazione de Il postino mi ha ricontattato l’organizzatore di produzione, anche perché sul set dell’altro film non avevo incontrato Massimo. Ho sostenuto un colloquio con Massimo e Michael Radford che mi hanno confermata aiuto regista.”
Il film è stato girato secondo l’ordine narrativo?
“No. Il primo ciak è stato l’arrivo di Neruda alla stazione, nel cinegiornale, girato a Stazione Ostiense. Prima di partire per Salina a Cinecittà si sono fatti gli interni della casa di Troisi e del padre. Poi nell’isola delle Eolie abbiamo girato gli esterni, la casa di Neruda, ma non in sequenza. Poi a Procida, e alla fine siamo tornati a Roma. L’ultimo ciak di Troisi in assoluto è stato quella della manifestazione, proprio alla fine del film. Il film è iniziato a marzo 1994 dopo vari spostamenti e continui rimandi dettati dalla salute di Massimo. Sarebbe dovuto partire a settembre 1993, ma Troisi ancora non si era ripreso dai suoi problemi di salute e la situazione si trascinò per sei mesi. In realtà a luglio 1993 Massimo aveva svolto delle riprese a Pantelleria con una troupe super ridotta, ancora prima che si formasse quella definitiva. Le prime riprese in quell’isola riguardavano solo paesaggi e altro, e nel film finito credo ne abbiano usate pochissime.”
Oltre al ruolo di aiuto regista hai svolto anche il ruolo di casting director?
“Esatto. Nel momento in cui il film è stato bloccato noi della produzione siamo rimasti in ufficio. Poi è stato rimandato e alla fine io ho sostenuto casting in giro per l’Italia da Roma in giù alla ricerca del personaggio di Beatrice. Maria Grazia Cucinotta è stata tra le prime ad aver sostenuto il provino, anche se in realtà preferivamo una ragazza sconosciuta, non un’attrice. Abbiamo continuato nella ricerca anche nelle scuole di recitazione, nei teatri, in giro. Alla fine abbiamo deciso proprio per la Cucinotta, che era la Beatrice ideale, ripescata all’ultimo minuto. Per il provino ricordo che le abbiamo fatto recitare la scena nella quale parla del suo innamoramento a sua zia, la compianta Linda Moretti.”
Quindi Troisi non è molto intervenuto nella scelta della protagonista?
“Diciamo che aveva un approccio molto liberale con questo tipo di lavoro. Quando poi si è reso conto di non poter prendere parte alla regia si è molto affidato a Michael Radford per qualsiasi aspetto del film. Certo, i provini li aveva guardati però non ha mai imposto nessuna scelta. In questo caso Maria Grazia ha messo d’accordo tutti.”
Troisi ha effettivamente partecipato alla regia, o quel “in collaborazione con Massimo Troisi” è una sorta di elogio postumo?
“Il film è partito da Massimo, a partire dalle indicazioni di sceneggiatura. Ma lui non è mai entrato nella discussione di un’inquadratura. Poteva capitare che ne parlasse liberamente, ma la regia era di Radford, che definiva le sequenze, i movimenti di macchina. C’è da aggiungere che Troisi non stava particolarmente bene, non era in grado di partecipare alla regia. Però il film era (e resta) una sua creatura. Aveva scritto la sceneggiatura, ne aveva acquisito i diritti… Se non fosse stato così indisposto probabilmente ne avrebbe fatto anche alla regia.”
Che rapporto hai avuto con lui sul set?
“È stato meraviglioso! Ero molto giovane ed era un mito come per tutti, e quando mi chiamava con l’interfono dalla stanza mi impappinavo sempre. Mi arrivava quella sua voce per come la ascoltavo nei film e come mi diceva “ehi” mi emozionavo tantissimo, arrossivo. Poi è andata meglio, la confidenza è aumentata per fortuna! Ma era fantastico, una persona eccezionale al di là della retorica. La sua malattia era evidente in quelle giornate, ma facevamo finta di niente. Ricordo che nelle pause amava riposare vicino al trucco, su una Chaise Longue, sentendo parlare tutti gli altri attorno. Una volta mi ha detto: “tu mi vedi ora così che non sono in forma, vedi appena mi riprendo che tornerò come prima!”. Gli intoppi dovuti alla sua indisposizione erano ovvi: poteva stare sul set poche ore e non si poteva girare di mattina, il medico doveva seguirlo, c’erano dei farmaci da dargli. Ricordo della sequenza di lui e Noiret sulla spiaggia. Avremmo dovuto raggiungere la spiaggia con la barca, ma lui non poteva affrontare il tratto in barca quindi usammo la sua controfigura per i controcampi. Per i primi piani abbiamo dovuto ricorrere ad una spiaggia nelle vicinanze di Roma. Nonostante ciò eravamo fiduciosi, forse un po’ incoscienti. Per incoraggiarlo gli dicevamo “ora che finisce il film ti riposi e andrà bene”. Non immaginavamo quell’epilogo. Ma alla fine tutto andava avanti anche perché era circondato dalle persone giuste, suo nipote Lallo si occupava della produzione, un altro ancora del backstage. Nathalie Caldonazzo, la sua ragazza, ogni tanto veniva sul set. Tranne me, che ero l’ultima arrivata, il resto della troupe era una sorta di famiglia che Troisi che aveva utilizzato per molti dei suoi precedenti film.”
Mi pare ci siano state alcune scene tagliate, vero?
“Si, una riguardava la sequenza della processione. È rimasta nel film, ma molto accorciata. Ricordo della mia fatica nel ricercare le comparse, ne servivano molte e imploravo alle vecchiette del posto di partecipare. Quando ho visto che quasi tutto era stato sforbiciato mi sono detta “tanta fatica per nulla” (ride), mentre un’altra riguardava la prima scena d’amore tra Troisi e la Cucinotta. Una volta vista, è stato proprio lui a volerla togliere in quanto non la riteneva riuscita.”
Utilizzavate la musica sul set?
“No, perché non era pronta l’orchestrazione. Tornatore invece la usa sempre, prendendo la lezione di Sergio Leone.”
Si facevano molti ciak?
“No, ma neanche due/tre. C’era un ottimo coordinamento tra gli attori, erano tutti molto consapevoli del loro ruolo. Tra Troisi e Noiret c’era una bella sintonia. Molte scene le ha recitate in italiano, anche perché lo parlava bene avendo recitato parecchi film in Italia. Per le frasi troppo lunghe preferiva però il francese.”
Che ricordi hai degli altri attori e di Radford?
“Io ho avuto una certa predilezione per Linda Moretti, la zia di Beatrice. Era una donna simpatica e meravigliosa. Ricordo divertita quando chiamava il regista: “Ah ‘Maicool’, quando ti sei deciso chiammame” eheh, perché Radford ci metteva un po’ a decidersi sulle inquadrature, doveva carburare, e qualche volta ci ripensava anche durante le riprese, perfezionava. Di lui ricordo che era riuscito ad amalgamarsi perfettamente allo spirito napoletano della troupe. Lavorando al casting io ho scelto molti ruoli, che naturalmente mi hanno poi approvato, come Renato Scarpa, ad esempio, un altro attore favoloso a tutti gli effetti. Stessa cosa Mariano Rigillo. Poi, come hai anche ricordato tu prima, mi sono molto occupata della scelta delle comparse, ho reclutato veri pescatori di Salina e anziani della zona per gli esterni del porticciolo. Parlavano in un dialetto strettissimo e per capirli ci voleva quasi un interprete!”