Con l’aiuto produttivo/distributivo di colossi come Netflix anche il cinema italiano ha saputo proporre lungometraggi interessanti e innovativi, prendendo progressivamente le distanze dalla solita commedia all’italiana che spesso identifica la produttività audiovisiva del nostro paese. Il mio nome è vendetta (trailer) è sicuramente un film interessante, ma non innovativo. Con questo non si intende mettere in dubbio la qualità stilistica del lungometraggio diretto da Cosimo Gomez con protagonista Alessandro Gassman, ma ciò a cui assistiamo è un film di azione e poco altro.
Proprio dei film di azione Il mio nome è vendetta riporta i clichè. Pistole con colpi infiniti e capacità di un singolo uomo di mettere fuori gioco gruppi di nemici ben più armati di lui sono escamotage tendenti all’errore logico che questo genere di lungometraggi fatica ad abbandonare, trascinandoseli come una pesante zavorra. A ciò si contrappone, tuttavia, una serie di scene di azione che mantengono vivo l’interesse spettatoriale per il film, fungendo da ottimo riempitivo tra un momento di introspezione e l’altro.
In questo “viaggio dell’antieroe”, dominato da violenza e crudeltà, lo spettatore più attento comprende come nessuno dei personaggi sia concretamente nel torto, così come nessuno nel giusto. Il mio nome è vendetta racconta di una spirale di odio che riprende il suo corso dopo anni di stasi, senza darci molti dettagli su chi sia stato a scagliare la prima pietra. Mentre ci chiediamo chi sia il buono e chi il cattivo, comprendiamo come in questa guerra tra famiglie (Franzè e Lo Bianco) a farne le spese siano gli innocenti, costretti a portare il peso delle colpe dei propri familiari. Il lungometraggio non lascia molto spazio a questo aspetto, se non nella prima parte, poiché focalizzato sulla vendetta di Domenico Franzè (Alessandro Gassman), aiutato dalla figlia Sofia (Ginevra Francesconi).
Dietro ad una trama che sa di già visto (sceneggiatura di Gomez assieme a Sandrone Dazieri e Andrea Nobile), intravediamo un’interessante cura della fotografia e del montaggio. La prima soprattutto, di Vittorio Omodei Zorini, è in grado di far percepire a pieno il momento emotivo che si vuole rappresentare, apparendo per la maggior parte con tonalità più fredde, amalgamandosi con lo stato interiore dei protagonisti. Se nella prima parte del film si potevano notare delle tonalità più calde, in particolare nel bel momento padre-figlia in montagna, nel momento in cui ha inizio il piano di vendetta di Domenico, le tonalità divengono progressivamente più fredde. Il montaggio (Alessio Doglione), inoltre, riesce quasi sempre a gestire le movimentate scene d’azione, senza commettere particolari errori in termini di raccordo delle inquadrature.
Guardando Il mio nome è vendetta non si può non fare una riflessione sul ruolo recitativo che Gassman si trova ad interpretare. L’attore sembra trovarsi a suo agio nella parte di antieroe, dimostrandosi ancora una volta adeguato ad interpretare personalità moralmente dubbie o, nel complesso, dall’animo cupo e tormentato. Dimostrazioni di questo genere, d’altronde, si sono potute osservare anche in serie televisive come Una grande famiglia o I bastardi di Pizzofalcone. La sua interpretazione in Il mio nome è vendetta fa da collante per i vari elementi sopra analizzati che il film intende proporre.
Il mio nome è vendetta rappresenta, nel complesso, un buon film di azione. Ad una storia non molto originale che sfrutta il clichè della vendetta a partire da un omicidio, si contrappongono una regia e fotografia contemporanee, adeguate al genere del film. Le numerose scene di azione, invece, fanno da ponte tra momenti di introspezione dei protagonisti e sono complessivamente ben curate. L’ottima interpretazione di Gassman rifinisce un’opera qualitativamente in linea agli standard della piattaforma su cui è distribuito. Il mio nome è vendetta, dunque, rappresenta un buon tipo di intrattenimento, proponendosi come un film di azione e poco altro.
Disponibile su Netflix dal 30 novembre.