Questo nuovo e, senza molti giri di parole, sorprendente lavoro del cinese Diano Yinan, passato da Cannes 2019, esce sui nostri schermi grazie alla Movies Inspired, società di distribuzione fornitrice di molti titoli del miglior cinema “nascosto” internazionale. Non è un caso. Il lago delle oche selvatiche (trailer) è uno di quei film che entra perfettamente in questa categoria, pur non conservando costantemente i tratti del cinema asiatico entrati nell’immaginario giovanile di questi ultimi anni.
Il film è un vortice di riflessioni, estasi, tensioni. Come in un bel Jarmusch d’annata inizia con due sconosciuti che si incontrano in piena notte in un’anonima stazione. Lei è una prostituta, lui un cinico appena uscito di prigione coinvolto in una sparatoria nella quale muore un poliziotto. Saranno sia le autorità che le bande criminali presenti nello scontro a perseguitarlo. La sua corsa contro il tempo e il destino in compagnia di Liu si protrae nei giorni e negli spazi della comunità sociale di una Cina malsana nella quale trovano comunque posto suggestivi scorci paesaggistici, figurativi e intimisti sommessamente incastonati nel racconto.
Quello del film è un Oriente di periferia laido e grezzo, macerato dalla criminalità ma non troppo. Non ci sono boss in giacca e cravatta e non sono concesse accezioni simboliste ai “Consigliori”, guru di malavita internazionalisti. Le faide, la prostituzione, l’impotenza che caratterizza l’habitat del film sono usi e costumi locali ai quali i personaggi non possono fare a meno. In un modo o nell’altro ne traggono vantaggio e sono funzionali alla loro sensualità. Un sottofondo d’incoscienza ci fa empatizzare con loro. Sono persone di tutti i giorni, che si lasciano andare a piaceri carnali e nutritivi non appena sembra giunta per loro la sospirata salvezza. Non sono i fautori del male costituito, ma è il male preesistente a farli costituire ad uno status di elementi della società da condannare.
Per conseguenza non è giusto trovare antagonisti nell’agrodolce fiaba rude firmata da un talentuoso artigiano della cinepresa asiatico. E ora che grazie a Parasite ci sarà inevitabilmente una spinta di curiosità nella scoperta del cinema non occidentale, è giusto iniziare ad amalgamare anche il cinema off cinese nell’immaginario collettivo globale, al fine di una riflessione antropologica del mondo più solidale, grazie soprattutto a capolavori di cinema come questo.