«Nel lontano Ovest, conoscevo un tipo. Un tipo di cui voglio parlarvi. Si chiamava Jeffrey Lebowski, o almeno così lo avevano chiamato gli amorevoli genitori, ma lui non se ne serviva più di tanto. Jeffrey Lebowski si faceva chiamare il Drugo.» Con queste parole si apre il più memorabile reperto dell’ineguagliabile filmografia dei fratelli Joel Coen e Ethan Coen, che oggi compie 25 anni: Il grande Lebowski.
Analizzare un’opera come questa non è affatto facile, io stesso ho passato giorni interi a poltrire sul divano cercando inutilmente di buttare giù qualche idea. Ed è proprio lì che ho trovato la risposta: nella pigrizia. Il protagonista Jeffrey Lebowski, interpretato da un Jeff Bridges in forma più che smagliante, è un uomo estremamente pigro, tuttavia è anche la persona che chiunque di noi vorrebbe essere.
Sappiamo benissimo che non possiamo passare la vita in panciolle a non far niente sperando che dal cielo cada qualche miracolo, quindi ci alziamo, lavoriamo, pianifichiamo, agiamo. Jeffrey Lebowski, o meglio, il Drugo (in inglese the Dude), non ragiona in questo modo. Lui non lavora, non ha partner né figli da mantenere e compra cartoni di latte pagandoli con assegni da 69 centesimi l’uno. Il suo solo hobby è il bowling agonistico, che pratica con i suoi due migliori amici: l’irascibile Walter (John Goodman), cuore comico del film e fonte inesauribile di meme, e il taciturno Donny (Steve Buscemi).
Ben presto, il Drugo si ritroverà coinvolto in una situazione molto più grande di lui e apparentemente costretto ad agire per risolvere la situazione, ma qui sta il genio del film: non c’è alcun bisogno che il pigro Jeffrey agisca, egli è sempre e comunque uno spettatore che assiste ad una serie di avvenimenti sempre più assurdi che si dipanano intorno a lui, ed è contento di esserlo. Perché il Drugo tollera, e sa aspettare.
La trama si sviluppa solo grazie ai disastri causati dall’impulsività di Walter e alle macchinazioni dei comprimari che dipingono il tutto con una tenue tinta noir, mentre Jeffrey “Drugo” Lebowski, il protagonista, osserva lo svolgersi degli eventi con la nostra stessa meraviglia, perché egli non è solo il personaggio principale del film, ma ne è anche lo spettatore principale. Anche quando sembra che stia per prendere finalmente il controllo della situazione (senza comunque riuscirci mai), il Drugo si comporta come se stesse guardando un film che scorre intorno a lui, e non sul grande schermo di una sala buia.
Il grande Lebowski incarna la nostra fantasia più grande e irraggiungibile: osservare la vita che va avanti, con un certo distacco ma senza apatia, come un eterno fanciullo che non dovrà mai dare troppo peso al suo posto nel mondo. Si potrebbe azzardare un paragone tra il personaggio di Drugo e il Francesco d’Assisi dipinto da Roberto Rossellini in Francesco, giullare di Dio: sono entrambi primi fra i pari, entrambe le loro storie si sviluppano grazie a un personaggio secondario molto impulsivo ed entrambi si rivelano estremamente saggi, nonostante la loro folle ingenuità.