
Per adattare una delle opere più lette, citate e amate della letteratura italiana, occorre prima di tutto una meravigliosa dote, da sempre amica della produzione artistica: l’ambizione. Ne occorre ancor di più se l’opera, sessant’anni prima, è già passata per le mani di un gigante come Luchino Visconti, dalle quali è stata tradotta in un raffinatissimo kolossal. Ed effettivamente, a Il Gattopardo (trailer), miniserie tratta dal romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e distribuita da Netflix, va riconosciuto il merito di essere un’impresa di ambizioni quasi titaniche.
È il 1860 e Palermo è turbata dall’imminente arrivo di Garibaldi. «Fate passare! Fate passare il Gattopardo!»: don Fabrizio Corbera, Principe di Salina (Kim Rossi Stuart) sfida il coprifuoco per riportare a casa dal convento la figlia Concetta (Benedetta Porcaroli). Da qui prendono il via le vicende di una famiglia aristocratica che dovrà presto fare i conti con le novità politiche e sociali che il Risorgimento porta con sé. A rappresentarle simbolicamente sono i personaggi di Tancredi (Saul Nanni), nipote adorato del Principe che decide di combattere al fianco dei Mille, e Angelica (Deva Cassel), elegante ma di umili origini, figlia del parvenu Calogero Sedara, sindaco della località in cui i Salina passano l’estate.
Il Gattopardo, che ha rapidamente raggiunto le vette della top ten delle serie più viste su Netflix Italia nella sua settimana d’esordio, è dichiaratamente orientata verso un pubblico internazionale. Si spiegano dunque la regia di Tom Shankland (che lascia spazio a Giuseppe Capotondi e Laura Luchetti rispettivamente nel quarto e quinto episodio) e le firme di Richard Warlow e Benji Walters. Si spiega forse anche la scelta di una trasposizione più libera che chi ama il romanzo ha rimproverato; del resto, con un pubblico non italiano difficilmente risuoneranno eventi legati all’esperienza risorgimentale. Può invece potenzialmente suscitare grande interesse l’adozione di un taglio soap, e dunque la trasformazione dell’opera in una saga familiare à la Downton Abbey (citata come ispirazione da Fabrizio Donvito, uno dei produttori, nell’incontro stampa di presentazione della serie).

Purtroppo questa scelta non sortisce gli effetti sperati e evidenzia una grande debolezza della serie: la costruzione di personaggi piatti, poco empatici, che instaurano fra di loro relazioni poco coinvolgenti e esplorate solo superficialmente. Nelle infedeltà di don Fabrizio, nel triangolo amoroso tra Tancredi, Concetta e Angelica, nella contrapposizione tra il gattopardo Salina e lo «sciacalletto» Sedara, ci si ritrova spesso davanti a dei cliché, risultato di un’esacerbazione di vizi e virtù che spogliano i personaggi della complessità umana che gli dovrebbe appartenere. Tancredi, il personaggio vitale e dinamico per eccellenza, è ironicamente più statico di don Fabrizio e, pur apparendo spesso sullo schermo sappiamo davvero poco di lui, delle passioni che lo muovono, della sua interiorità.
Che dire poi di Concetta, alla quale viene dato più spazio con la probabile intenzione di avvicinarla a un pubblico giovane, a una narrazione innovativa, forse persino femminista. Ma è davvero innovativo riscrivere la Storia, mettere in bocca a una ragazza che vive l’Italia meridionale dell’800 parole che difficilmente avrebbe avuto libertà di dire? Non sarebbe più interessante raccontarci un po’ meglio la sua oppressione, i suoi veri impulsi (non solo quelli amorosi) che vengono soffocati? Dispiace dover fare un simile discorso anche per Angelica, alla quale viene completamente negata l’originale profondità: scompare nella sua appariscenza e sembra essere stata scritta solo in funzione di foil alla rivale in amore Concetta, timida, religiosa e romantica dove Angelica è invece seducente, libertina e pragmatica.
Questi dettagli, uniti a un certo scricchiolare dei dialoghi, certamente non aiutati dalla tendenza allo stereotipo e da un accento siciliano per la maggior parte poco costante, risultano in un prodotto che comunica poco al suo pubblico, difficilmente memorabile e in generale poco convincente. Un’occasione ottima per esportare un prodotto italiano all’estero che poteva essere sfruttata molto meglio.