E’ indubbio che per fare un buon film sia necessario avere una buona storia. Quella de Il Cardellino lo è, romanzo premio Pulitzer 2014 di Donna Tartt. Ma un buon racconto è sì necessario, di certo non sufficiente. L’adattamento cinematografico del libro, firmato Warner Bros. e Amazon Studios, dimostra la veridicità di questo teorema in tutto e per tutto. Con dietro la mdp John Crowley, Il Cardellino (trailer) sono 149 minuti (!) di pura e micidiale noia senza capo né coda. Qui da noi è in esclusiva digitale a partire da oggi 6 dicembre su piattaforme come Apple TV, Infinity, Sky, Chili.
Diretto pigramente, scritto male (sceneggiatura di Peter Straughan), recitato peggio e montato da cani, nemmeno la fotografia di un premio Oscar come Roger Deakins riesce a distinguersi. Anche solo per potersi raccapezzare all’interno della ingiustificatamente ingarbugliata storia che passa sullo schermo sarebbe consigliabile fare un giro su Wikipedia. E non si capirebbe comunque nulla! Theo Decker (Oakes Fegley prima, Ansel Elgort poi) ha tredici anni quando perde la madre in un attentato al Metropolitan Museum. Nella confusione generale, prende con se un piccolo dipinto fiammingo, Il Cardellino, oggetto custodito gelosamente che lo accompagna nella vita e si fa simulacro di un dolore misto a speranza. Dando il nome a romanzo e film, questo dipinto è chiave dell’intero racconto, cardine anche di intrecci malavitosi nei quali il Theo adulto finisce per andare di mezzo.
Bene, tutto questo nella pellicola non c’è. L’opera trafugata è incartata in fogli di giornale e ogni tanto mostrata per ricordarci della sua esistenza, ma mai caricata di valore, mai posta come fulcro narrativo o tantomeno come leitmotiv emotivo che non si avvalga dello stucchevole, reiterato utilizzo di didascalici flashback. Sguazziamo in disfunzionali rapporti genitoriali, relazioni fatte e concluse nel giro di due scene ed elaborazioni del lutto che non elaborano perché del lutto non gliene frega niente. Il Cardellino che arriva sui nostri dispositivi privati accantona anche gli intrighi criminali, salvo nell’esilarante rush finale (con tanto di sparatorie) dove con meno di venti minuti a disposizione si riscopre crime movie e non si capisce dove voglia andare a parare. Ve lo diciamo noi, ad una chiosa finale che grida “DESTINO” a caratteri cubitali, che in quattro e quattr’otto ci accompagna ai tanto agognati titoli di coda.
Il film è estremamente confuso sul come sfruttare le sue ampie (pure troppo) risorse. A partire dalla gestione del nutrito cast, fatto ruotare ciclicamente durante l’alternarsi delle (gratuite) fasi temporali in una girandola di personaggi così abbozzati e sfigati nella vita da strappare una risata in più di un frangente. Siamo davanti ad un tripudio di drammi familiari talmente fittizi e cartonati che dopo un “mia madre è morta” “ah, anche la mia” non stupiscono due tredicenni che iniziano a sniffare psicofarmaci sbriciolati e a mettersi acidi sotto la lingua con scioltezza invidiabile. Rigorosamente dopo qualche enfatico momento Stranger Things, perché oltre a Nicole Kidman abbiamo nel cast anche Finn Wolfhard e quindi via di star system.
Il Cardellino parte come un drammone di quelli nudi e crudi, con tanto di incipit cupo e di un Theo cresciuto che ci parla di quant’è amara la vita. Poi annacqua, annacqua e annacqua, inerpicandosi su montagne di volti, plot e subplot. Dopo una mezz’ora qualsiasi parvenza di interesse scema perché non riconosce nel film uno stile narrativo uniforme al quale aggrapparsi, così criminalmente mancante di identità che trova nel cast tecnico ed artistico i complici di un flop che affonda nell’acqua con la grazia di un macigno.