Il bambino di cristallo, la recensione: l’equilibrio di una frattura

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Affrontare temi come disabilità o autismo al cinema è sicuramente complesso, quanto necessario, per dare il giusto spazio alla rappresentazione di una realtà che è quotidiana per moltissime persone. Eppure, ciò spesso non viene fatto con adeguata consapevolezza, e si rischia di cadere nello stereotipo e nella disinformazione. Sicuramente, le aspettative in questo senso sono alte per Il bambino di cristallo (trailer) , l’ultimo film di Jon Gunn prodotto dalla Lionsgate, gli stessi produttori di Wonder del 2017, e tratto dal romanzo The Unbreakable Boy: A Father’s Fear, a Son’s Courage, and a Story of Unconditional Love” di Scott Michael LeRette e Susy Flory, in cui l’autore racconta la sua personale esperienza da padre di un bambino diverso. 

Il film racconta la storia vera di Austin (Jacob Laval), tredicenne affetto da autismo e da una condizione genetica ereditata dalla madre Teresa (Meghann Fahy), l’osteogenesi imperfetta, che rende le sue ossa estremamente fragili. Nonostante le difficoltà quotidiane legate alla sua condizione, come il non poter giocare e divertirsi come tutti gli altri bambini, Austin sprizza entusiasmo da tutti i pori, non si arrende mai e non ha paura di cadere, pur sapendo che potrebbe farsi molto male.

È proprio lui il narratore che accompagna lo spettatore lungo tutto il viaggio, aprendogli vivacemente uno spiraglio in quel mondo che solo lui può vedere, ma che è entusiasta di condividere con gli altri, e che il regista sceglie di rendere con sequenze animate ed effetti visivi e sonori. L’interpretazione sentita e vivace del giovane Laval contribuisce ad allontanare la rappresentazione dell’autismo in questo film da altre, più stereotipate e giustamente polemizzate, come quella in Music di Sia nel 2021, creando un personaggio credibile, a cui è facile affezionarsi. Rimane tuttavia un’ambiguità di fondo quando si decide di scritturare un attore neurotipico in un ruolo del genere. 

La storia narrata da Austin ha inizio con la fatidica notte in cui «si è rotto proprio tutto», per poi tornare indietro nel tempo attraverso un flashback che mostra il primo incontro dei suoi genitori. Il racconto attraversa le tappe della loro vita, dalla gravidanza inaspettata alla convivenza frettolosa, fino ai primi anni del bambino e le numerose difficoltà affrontate. La direzione della narrazione appare chiara sin da subito: una sceneggiatura semplice, alquanto stereotipata, alleggerisce il racconto, privandolo però della possibilità di approfondire le vicende, che rimangono spesso inesplorate. 

Il bambino di cristallo, film di Jon Gunn con Jacob Laval, Meghann Fahy e Zachary Levi.

Le sventure che accadono alla famiglia si susseguono una dopo l’altra, e portano con sé una vastità di temi significativi, che per lo più non vengono esauriti nel loro potenziale narrativo, creando anche un certo distacco emotivo con lo spettatore.  Anzi, una narrazione così semplicistica e superficiale, in più di un caso, fa storcere il naso. Innanzitutto, ad Austin viene lasciato veramente poco spazio: la parte dedicata a lui, alla disabilità e all’autismo è il minimo indispensabile, e il bambino, che dovrebbe essere il protagonista, si ritrova ad essere principalmente il narratore della storia della sua famiglia o, per meglio dire, di suo padre.

Per tutto il tempo il film cerca, con non molto successo, un equilibrio tra i toni giocosi e vivaci della narrazione fantasiosa di Austin e quelli crudi e realistici che inquadrano le innumerevoli difficoltà dei genitori, che non hanno un attimo per respirare prima di essere colpiti dall’ennesima sventura. Questo tipo di narrazione ha il suo apice nella seconda parte del film, che vede Scott (Zachary Levi) e la sua crisi personale come protagonisti assoluti. Il bambino di cristallo si incentra e si dilunga su di lui, sulla sua crescita interiore, fulcro emotivo del film, sulla battaglia contro l’alcolismo e la depressione. Il personaggio interpretato da Levi ha un certo potenziale: con lui emerge il vero tema del film, l’impatto della presenza di una disabilità all’interno del nucleo familiare, ma soprattutto il conciliare un percorso di crescita personale con il ruolo di padre e marito. 

La particolarità di Scott è quella di avere un amico immaginario, Joe (Drew Powell), con cui si confida per ogni problema o indecisione, metafora di un personaggio emotivamente immaturo, che si chiude in se stesso e non si mostra in grado di affrontare le difficoltà. Joe potrebbe essere visto come un interessante punto di contatto tra padre e figlio: due modi inusuali di vedere il mondo, due universi interiori che gli altri non possono percepire, il primo che tende ad isolarsi, a rinchiudersi, il secondo che vuole farsi conoscere e venire fuori. Ma per lo più egli è una spalla, un amico che per tutto il tempo incoraggia e giustifica le decisioni di Scott, spingendolo verso strade che non sempre sono le più auspicabili.

Il bambino di cristallo, film di Jon Gunn con protagonisti Jacob Laval e Zachary Levi.

La decisione di raccontare la dipendenza di un uomo, a cui sembra essere successo sempre tutto troppo in fretta per riuscire ad evolversi al passo dei cambiamenti nella sua vita è, forse la parte più innovativa e inaspettata del film, che distingue Il bambino di cristallo da molte altre tradizionale storie di famiglie americane. Anche qua si ripresenta però il problema di una sceneggiatura fragile, che spesso sfocia nel melenso, e che vuole confrontarsi con molti più elementi di quanto possibile, sminuendo il percorso affrontato da Scott, che risulta poco più che accennato, ma allo stesso tempo quasi ingombrante, confrontato a quello degli altri personaggi. Oltre ad Austin infatti, sia Teresa che Logan (Gavin Warren), il fratellino del protagonista, sono piuttosto trascurati, tratteggiati con poche essenziali caratteristiche. 

Ultimo tema fondamentale del film è quello della religione, non inaspettato dal momento che Jon Gunn è già stato regista di titoli principalmente religiosi, come Ordinary Angels, 2024. La fede in Il bambino di cristallo è un tema vasto. Se per Teresa rappresenta un’ancora di salvezza, qualcosa a cui aggrapparsi quando tutto va per il verso sbagliato, per Scott è fonte di dubbi e angoscia, nel timore opprimente che le sfide che si trova continuamente ad affrontare siano prive di significato, e nella fatica a trovare qualcosa per cui essere effettivamente grato.  Il rapporto dei protagonisti con la Chiesa porta alla comparsa di un nuovo personaggio, il pastore Rick (Peter Facinelli), che sarà un’importante, quanto imperfetta e umana, guida spirituale. 

Nonostante le sue evidenti imperfezioni, a Il bambino di cristallo va il merito di aver tentato di raccontare una storia diversa, di aver indagato una dinamica delicata, e soprattutto di averlo fatto con cruda sincerità, decisamente più indirizzata agli adulti che ai bambini.

Dal 27 marzo in sala.

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