Il produttore Larry O’Brien (Richard Conte) acquista lo studio cinematografico in cui, nel 1929, ebbe luogo l’omicidio del regista Franklin Ferrara: decide quindi di trarne ispirazione per il suo primo film, indagando sul caso e mettendo a rischio la sua stessa vita.
Hollywood Story (1951), altrimenti conosciuto come I misteri di Hollywood, è un film di William Castle, generalmente considerato un B-movie del cinema noir. Nonostante la Universal Pictures ne abbia smentito qualsiasi correlazione, la trama è un’eco alla tragica fine del regista William Desmond Taylor, assassinato con un colpo di pistola nel suo bungalow nel 1922. Al tempo i direttori dello studio, già impegnati con un altro scandalo di matrice hollywoodiana, inquinarono le prove e, malgrado numerosi indiziati si fossero dichiarati colpevoli e il delitto fosse stato sviscerato minuziosamente, nessuno venne mai accusato, lasciando il caso tutt’oggi irrisolto.
I misteri di Hollywood è la risposta di Castle al pluripremiato Viale del tramonto (Sunset Boulevard, 1950) di Billy Wilder, valutato come uno dei migliori gialli sulla fatuità dello star-system nonché uno dei più chiari esempi di autoanalisi da parte dell’industria cinematografia. Ma, secondo il «New York Times», Castle tenta un noir che, nonostante il potenziale, si rivela deludente nella riuscita. Il crimine dietro al «mystery drama» che Larry O’Brien prefigura come «pieno delle sfumature e del glamour dei vecchi giorni ‘muti’» è un insieme, anziché di prove, di clichés sciocchi perché costituiscano effettivamente il movente del crimine: «La polizia dev’essere stata terribilmente pigra nel 1929», commenta sarcasticamente il critico Bosley Crowther alla vigilia della première.
La trasformazione di Hollywood
JOHN MILLER
– You don’t see pictures like that anymore!
MITCH DAVIS
– Sure you do Pop, every night on television!
Nella pellicola di Castle, la vecchia Hollywood viene narrata attraverso la lente del cinema americano di metà Novecento, in lotta con i nuovi mezzi televisivi. La prima scena si svolge lungo la Hollywood Boulevard e l’attraversamento del quartier generale delle emittenti televisive punta il dito contro la crescente popolarità del piccolo schermo. Dopodiché, il protagonista e il suo amico Mitch Davis (Jim Backus) vengono condotti dall’anziano John Miller (Houseley Stevenson) allo studio di Ferrara, collocato nei Chaplin Studios – una scelta d’ambientazione senz’altro motivata dalla volontà di conferire un’impronta del passato in virtù del realismo preteso dal genere noir nonché in contrasto con la neonata televisione.
Diverse sono le strategie utilizzate da Castle per ricreare un clima rétro. Innanzitutto, l’utilizzo di spezzoni cinematografici mostrati durante il film in qualità di testimonianze del cinema muto – l’uno girato appositamente per I misteri di Hollywood, ricalcando gli stilemi degli anni Venti, l’altro, un frammento de Il fantasma dell’Opera (The Phantom of the Opera, r. Rupert Julian) del 1925, presentato come estratto cinematografico di Ferrara. Secondariamente, i cameo di numerosi di attori noti agli albori della settima arte, coinvolti al fine di rendere attendibile e verosimile il resoconto dell’omicidio. Tuttavia, le indiscrezioni vogliono che questi siano stati sottopagati, confermando una sorta di degenerazione dello star-system che tanto Castle sembrava additare nell’intenzione di ricalcare la pellicola di Wilder.
Il B-movie del cinema noir
Nella carriera di William Castle I misteri di Hollywood si colloca tra la gavetta con artisti del calibro di Orson Welles e l’affermazione come regista di horror B-movies (si ricorda House on Haunted Hill con Vincent Price del 1959). Ma, alla luce di quanto detto, ne I misteri di Hollywood il noir scarseggia: la voce narrante di Mitch, la nostalgia di un look rétro e la rincorsa del gatto al topo non bastano a compensare dialoghi che spingono verso l’ovvietà della conclusione, lasciando il crimine risolversi da sé.
Richard Conte, eccellenza del cinema, ne I misteri di Hollywood manca di quel cinismo, ossessione o nevrosi tipica dei protagonisti del noir. Anzi, il suo controllo contraddice tutto ciò che ci si aspetta dall’interpretazione di un produttore di Hollywood. Lo stesso vale per Julie Adams, attrice del piccolo schermo che delude nel ruolo di femme fatale, essendo per lei, quello di Sally Rousseau, il primo ruolo per il grande schermo.
Forse, le aspettative per I misteri di Hollywood sono troppo alte per un giallo che procede senza colpi di scena, tuttavia conveniente al canone cinematografico. Il film di Castle rimane «un thriller poliziesco abbastanza avvincente la cui trama getta uno sguardo alle star dell’Hollywood ‘muta’».[1]
BIBLIOGRAFIA
Joe Jordan, Hollywood Story (1951), in Showamanship: The Cinema of William Castle, BearManor Media, 2014;
Anthony Slide, Hollywood Unknowns. A History of Extras, Bit Players, and Stand-Ins, University Press of Mississippi, 2012.
[1] Dennis Schwartz, A fairly absorbing crime thriller whose plot involves a look at Hollywood’s silent stars, in Ozus’ World Movie Reviews, 2002.