Titolo originale: I, Daniel Blake
Regista: Ken Loach
Anno: 2016
Durata: 100 minuti
Nazionalità: Regno Unito, Francia
Cast: Dave Johns, Hayley Squires, Dylan McKiernan, Briana Shann, Mick Laffey, Harriet Ghost
In sala: dal 21 settembre
Ken Loach torna a graffiare le coscienze degli spettatori con il suo tocco impegnato e militante: come ci ha (ben) abituato fin dagli esordi, i temi a lui cari – la disoccupazione, i disagi delle classi meno abbienti, la povertà, la malattia, l’impegno politico e sociale, le differenze di razza e ceto – tornano, sapientemente mixati tra loro, nella sua ultima fatica, Palma d’oro all’ultimo Festival di Cannes: I, Daniel Blake è un canto di amore, speranza e vita. Struggente, appassionato e malinconico come solo la realtà sa – e può – essere, Loach narra le (dis)avventure epiche di Daniel Blake, un carpentiere vedovo da poco colpito da infarto. Impossibilitato a lavorare, cerca di ottenere un sussidio di disoccupazione con il quale sopravvivere alle avversità della vita. Ma il sistema non accetta la sua domanda, non accetta la sua presenza e la sua incapacità di trovare un proprio posto nella società, trattamento che applica a tutti gli altri esclusi/emarginati che vivono in condizioni di povertà in quello sperduto spaccato del Nord dell’Inghilterra. I, Daniel Blake è una lettera aperta, un inno alla propria identità, all’unicità che ognuno di noi porta in sé in quanto essere umano. L’incipit della costituzione degli Stati Uniti d’America (la migliore su carta, parafrasando Alexis De Tocqueville), We, The People of the United States, sottolinea la condizione unica ed esclusiva d’appartenenza ad un nucleo specifico, in grado di godere di quel Welfare State che è un Diritto alla Felicità garantito in esclusiva dallo Stato stesso. Così anche Daniel Blake, con la sua affermazione senza predicato, garantisce la propria appartenenza solo ed esclusivamente a sé stesso, lontano dagli ingranaggi e dalle regole sociali che trasformano le singole identità in numeri di previdenza sociale, pin e codici. Anche lui, come un cittadino (corpo organico di uno Stato) ha diritto di godere della Felicità, anche se quest’ultima si rivelerà più difficile da ottenere perfino rispetto ad un sussidio di disoccupazione.