“L’ideale, per disponibilità di denaro, è di averne come nelle ricette mediche: q.b.” C’è chi replicò con queste parole all’Elogio della povertà di un anonimo di Lovanio. I Care a Lot (trailer) tratta di questo: il confine tra quel quanto basta e la hybris umana.
Una giudice tutelare, affamata di denaro e coinvolta in truffe nei confronti dei propri anziani assistiti, si ritrova implicata in una situazione più grande di lei, dove l’unica via di scampo è trasformarsi da preda a predatrice. Ad una trama non propriamente originale, la pellicola, disponibile su Amazon Prime Video, contrappone un cast di primo ordine: Peter Dinklage, de Il trono di spade; la due volte Premio Oscar Dianne Wiest; l’indiscussa protagonista Rosamund Pike. È proprio quest’ultima il fulcro del film. In primo luogo il personaggio di Marla Grayson si propone allo spettatore come la prosecuzione naturale di Amy di Gone Girl, la machiavellica antagonista del film di David Fincher interpretata dalla medesima attrice. In seconda battuta, Rosamund Pike, spogliatasi delle recenti vesti di Marie Curie, torna ad interpretare un ruolo che la valorizza sotto un punto di vista sia attoriale sia fisico. Lo sguardo cinico, la voce risoluta e la sua fisicità sensualmente raffinata la elevano a colonna portante dell’intera pellicola. Non che Dinklage e la Wiest non siano all’altezza, anzi, svolgono egregiamente il loro compito, ma rimangono sempre marginali nell’economia complessiva dell’opera.
Spesso, come gli sportivi sanno bene, schierare in campo dei giocatori forti non significa vincere la partita. Senza schemi e una guida da bordocampo non si raggiunge l’obiettivo prefissato. A tradire I Care a Lot è forse proprio l’allenatore J Blakeson, nelle vesti di sceneggiatore e regista. Se dietro la camera da presa si poteva osare di più, è nella scrittura che forse si trovano le crepe più profonde. Le premesse della prima metà del film sono sdoganate da una serie di interventi che trasformano la potenziale partita a scacchi in un’implausibile acchiapparella. Non mancano note positive, ma l’andamento è troppo altalenante: lo spettatore resta comunque a godersi la storia ma senza un forte coinvolgimento psicologico; lo humor spiccato e gradevole è controbilanciato da un decontestualizzato femminismo e uno stucchevole didascalismo; a spunti interessanti seguono cliché e inserti insignificanti.
È doveroso però riconoscere aspetti degni di nota tramite due menzioni. La prima è quella di Deborah Newhall, la costumista del film. Se Rosamund Pike brilla è anche merito delle scelte nel vestiario. Vestiti, tailleur e scarpe si integrano alla perfezione con i climax narrativi e con l’atmosfera che si voleva creare. Un lavoro in sordina che rappresenta un valore aggiunto rispetto alla caratterizzazione del personaggio e alla coesione del mondo narrativo. La seconda menzione è quella di Doug Emmett, il direttore della fotografia. Se l’atmosfera pop è ben riuscita, gran parte si deve ai suoi meriti. Niente di eccessivo ma neanche di scontato: non siamo in un’opera di Nicolas Refn, ma neanche in un qualsiasi film della fine settimana. Il suo apporto non sarà determinante, ma contribuisce a dare un’identità al film.
Nel complesso, I Care a Lot è un film piacevole da vedere, che intrattiene ma non esalta. Non lo consiglierete agli amici, né ne parlerete con qualcuno, né ve lo ricorderete a lungo, però è discreto per un momento di relax. Sarebbe buona educazione non fare spoiler, è risaputo. Per questo motivo ci si limita a lanciare una provocazione a chi vedrà il film: se fosse finito senza quella coda narrativa, non sarebbe stato decisamente migliore?