I 400 colpi: il cinema immortale

A 65 anni dalla sua uscita, l'impronta lasciata dal capolavoro di François Truffaut continua ad essere indelebile nelle pagine della storia

Tra le principali regole del cinema, forse la prima che viene insegnata agli attori, c’è quella che vieta di guardare dritto nell’obiettivo della macchina da presa. Questo perché lo sguardo in macchina andrebbe a demolire l’illusione di realtà che il cinema si propone di restituire al pubblico. Tuttavia, ci sono alcuni casi nella storia della settima arte in cui lo sguardo in macchina è utilizzato come strumento per comunicare qualcosa allo spettatore in modo irruente e travolgente. È il caso, ad esempio, della scena finale de Le notti di Cabiria di Federico Fellini, con l’iconico primo piano di Giulietta Masina; o i fotogrammi che chiudono uno dei pilastri della storia del cinema, I 400 colpi (trailer) di François Truffaut.

Prima di parlare in maniera più specifica del film, è opportuno fare una piccola digressione su quello che è stato il contesto nel quale si è andato a sviluppare il movimento di cui I 400 colpi è considerato iniziatore: la Nouvelle Vague. Siamo alla fine degli anni Quaranta. Vecchie questioni di carattere culturale tornano ad animare il dibattito, si discute sul ruolo dell’autore e sulla forza della sua soggettività. La visione romantica dell’autore-artista va a scontrarsi inevitabilmente con l’aspetto più tecnico e industriale dello strumento cinematografico, che necessita dell’intervento di molte menti e personalità per giungere allo sviluppo di un prodotto.

Tra tutte, spiccano le riflessioni provenienti dal mondo della critica francese – accolte successivamente da quella internazionale -, in grado di porre le basi per lo sviluppo di una nuova visione dell’autore. La spinta più forte arriva dai critici dei «Cahiers du Cinéma», la più prestigiosa rivista cinematografica francese, i quali propongono un’idea di auteur come unico artefice del processo creativo. In quest’ottica, proprio come un romanzo, il film può essere considerato espressione della visione personale del regista.

Il nuovo concetto di autore riguarda non solo la paternità dell’opera, ma anche lo studio dello stile personale di ogni cineasta, che deve avere pieno controllo del mezzo e la capacità di utilizzarlo in maniera originale e innovativa. Molti dei critici dei «Cahiers» si cimentano nella realizzazione di film dando vita ad una nuova generazione di registi che, con la volontà di rompere gli schemi della classicità, sfidano le convenzioni tradizionali rivoluzionando il modo di fare cinema. Questi, tra cui i più noti François Truffaut, Jean-Luc Godard, Claude Chabrol ed Eric Rohmer, introducono nuove tecniche di ripresa, stili narrativi non convenzionali e tematiche più realistiche.

La Nouvelle Vague si è distinta rispetto al cinema precedente per un approccio più spontaneo e autentico alla realizzazione dei film, scegliendo spesso attori non professionisti e ambientazioni puramente naturali. I giovani registi accolgono l’eredità del neorealismo e del cinema d’arte degli anni Cinquanta, sviluppando nuovi modi di utilizzare la macchina da presa che fondono il cinema di fiction con lo stile documentario. Importante, poi, la scoperta delle potenzialità narrative del montaggio discontinuo e frammentario e un grande uso delle sequenze lunghe, definite poi piano-sequenza, con le quali si può risolvere l’arco narrativo di una sequenza in una sola inquadratura. Tutto questo ha rappresentato una rottura con le tradizioni precedenti, rendendo la Nouvelle Vague una pietra miliare della storia del cinema, con i suoi protagonisti che hanno aperto una nuova strada nella settima arte, portando freschezza, innovazione e un nuovo modo di esplorare temi sociali e aspetti psicologici dell’umano attraverso il linguaggio cinematografico. 

A 65 anni dalla sua uscita, l'impronta lasciata dal capolavoro di François Truffaut continua ad essere indelebile nelle pagine della storia

Nel 1959 François Truffaut trionfa al Festival di Cannes, dopo essere stato estromesso l’anno precedente a causa delle critiche che aveva mosso all’industria cinematografica francese, conquistando il riconoscimento per la Miglior regia proprio con il film I 400 colpi. La traduzione letterale italiana del titolo ne fa perdere un po’ il senso stretto, poiché l’originale (Les Quatre Cents Coups) si riferisce ad un modo di dire francese che significa più o meno “fare il diavolo a quattro”, in relazione proprio alle avventure turbolente del suo giovane e ribelle protagonista. Primo di un ciclo di cinque pellicole, Les Quatre Cents Coups segue le vicende di Antoine Doinel, interpretato da Jean-Pierre Léaud, il quale diventerà un volto simbolo del cinema di Truffaut.

Si è a lungo considerato il personaggio di Antoine un alter ego del regista, ma nonostante la grande quantità di elementi autobiografici presenti sarebbe scorretto ridurlo a questo. L’obiettivo di Truffaut nel delineare i caratteri di Antoine non è quello di autocommiserarsi, né tanto meno quello di auto celebrarsi. Il protagonista de I 400 colpi è uno strumento attraverso il quale l’autore sceglie di raccontare la complessità della realtà. Nella costruzione del personaggio è risultata fondamentale la presenza del co-sceneggiatore del film, Marcel Moussy, chiamato da Truffaut per scongiurare l’ipotesi di cadere nella trappola degli stereotipi, in quanto tra gli autori di un programma in cui venivano analizzati i conflitti genitori-figli e il talento di Jean-Pierre Léaud, capace di stare davanti la macchina da presa con enorme naturalezza.  

Antoine è un adolescente solo e indisciplinato, vittima dei conflitti con cui è costretto a convivere, tra la scuola e la famiglia, che sembrano volersi occupare esclusivamente della sua educazione, dimenticandosi di regalargli anche un po’ d’amore. Particolarmente indicativo di questa mancanza d’affetto da parte dei genitori è l’angolo della casa riservato al ragazzo, che dorme in un sacco a pelo come se dovesse essere pronto a partire in qualsiasi momento.

L’unica persona con cui condivide la sua quotidianità è il suo amico René. Insieme iniziano a marinare la scuola e a vagabondare per le vie di Parigi; quando vengono sorpresi a rubare una macchina da scrivere nell’ufficio del patrigno, Antoine viene spedito dai genitori in riformatorio. Qui è costretto a subire forti umiliazioni e un giorno, approfittando della distrazione dei sorveglianti, riesce ad evadere ed a coronare il sogno della sua vita, quello di vedere il mare. Il film si chiude proprio su questo, con un piano-sequenza che segue la disperata corsa di Antoine verso il mare; nella scena è totalmente assente la musica, che fa il suo ingresso nel momento in cui il protagonista arriva sulla spiaggia, l’unico suono che si sente è quello dei suoi passi.

A 65 anni dalla sua uscita, l'impronta lasciata dal capolavoro di François Truffaut continua ad essere indelebile nelle pagine della storia

I 400 colpi è un film che mostra la sua originalità dall’inizio alla fine, a partire proprio dai titoli di testa che, invece di utilizzare una grafica tradizionale, presentano i nomi del cast e della troupe scritti a mano su una lavagna e accompagnati da una meravigliosa colonna sonora di Jean Constantin, che aggiunge un tocco emozionale. Questa scelta dona alla pellicola un aspetto autentico e personale, in perfetto stile Truffaut. Il dettaglio più iconico è però, per tornare al tema iniziale, lo sguardo in macchina di Antoine, che chiude il film con il fermo immagine più famoso della storia del cinema. La rottura della quarta parete coinvolge direttamente il pubblico nella narrazione sul piano emotivo, creando una forte connessione tra spettatore e protagonista.

Il finale è aperto, non viene rivelato il destino di Antoine, verrà catturato e riportato in riformatorio? Tornerà a casa? Continuerà a vagare per le strade di Parigi? Truffaut lascia che il pubblico speculi su cosa possa accadere dopo. Per quanto riguarda il significato dello sguardo del protagonista ci sono state molte interpretazioni nel corso della storia, qualcuno ha letto nei suoi occhi felicità, qualcuno speranza, qualcun altro incertezza, altri ancora disillusione. C’è anche chi ha visto in quello sguardo un atto di accusa nei confronti della società, o più semplicemente la supplica di un bambino solo.

L’essere umano cerca da sempre un modo per divenire immortale, per trovare una soluzione alla sua paura dell’oblio, al terrore di essere dimenticato. Non esiste strumento migliore dell’arte per restare impressi nelle pagine della storia e il cinema ne è forse la forma più potente. Sono passati sessantacinque anni dall’uscita de I 400 colpi, eppure le sfide che Antoine affronta risultano essere senza tempo. La ricerca della propria identità, l’innato desiderio di essere liberi dalle regole, dai confini, dalle istituzioni, la necessità di crescere con la cura e l’amore della famiglia, sono aspetti che fanno parte della vita di tutti e che rendono intramontabile la poesia di un film che ha segnato un punto di non ritorno nella storia della settima arte.  

BIBLIOGRAFIA

K. Thompson, D. Bordwell, J. Smith, Storia del cinema. Un’introduzione, McGraw Hill, 2010

SITOGRAFIA

E. Ricchetti, I 400 colpi, Ondacinema, 2018, https://www.ondacinema.it/film/recensione/i-400-colpi.html

Erik, A blow-by-blow analysis of Les Quatre Cents Coups, CineVerse, 2019 https://www.cineversegroup.com/2019/05/a-blow-by-blow-analysis-of-les-quatre.html

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