Hunger Games 10 anni dopo: distopia tra realtà e finzione

Hunger Games

Arco e frecce imbracciati, treccia lunga, sguardo impenetrabile. Dal 23 marzo 2012 il volto di Katniss Everdeen ha fatto il giro del mondo. C’è chi la chiama “La ragazza di fuoco”, chi la associa istintivamente alla sua interprete Jennifer Lawrence. Una cosa è certa: comunque la si chiami non è facile dimenticarsi di lei. 

Dieci anni fa usciva in sala Hunger Games (trailer), il primo film di una tetralogia cinematografica tratta dall’omonima serie di libri di Suzanne Collins. La storia si snoda in un futuro distopico post-apocalittico, a Panem (corrispondente più o meno all’America del Nord). A seguito di una guerra civile il Paese è stato diviso in dodici distretti governati da Capitol City, la metropoli dove ha sede il governo del Presidente Snow, un dittatore che detiene il potere su tutta la nazione. Per evitare il rischio di un’altra guerra e quindi, per alimentare la paura all’interno dei distretti, il regime ha ideato gli Hunger Games, dei giochi mortali dove ventiquattro ragazzi si sfidano finché soltanto un concorrente rimane in vita. Ogni anno i dodici distretti sono costretti a dare in tributo una ragazza e un ragazzo di età compresa tra i dodici e i diciotto anni, scelti a sorte durante la cerimonia della Mietitura. Il film, in particolare, si concentra sul Distretto 12 e sulla storia di Katniss Everdeen, una sedicenne che si offre volontaria, al posto della sua sorellina Prim (Willow Shields), per partecipare alla crudele competizione. Insieme a lei, Peeta Mellark (Josh Hutcherson), il tributo maschile del Distretto 12.

Suzanne Collins, per la stesura di Hunger Games (e dei successivi libri della serie: La ragazza di fuoco e Il canto della rivolta) ha trovato ispirazione da varie fonti. Prima di tutto nella sua passione per la mitologia greca: la trama si rifà alla storia di Teseo e del Minotauro. Il Presidente Snow non appare così diverso dal re Minosse. Entrambi i sovrani sembrano lanciare un chiaro messaggio alla loro gente: «Mettetevi contro di noi e faremo qualcosa di peggio che uccidervi. Uccideremo i vostri figli».

Sono chiari i riferimenti a prodotti audiovisivi come The Gladiators (Peter Watkins,1969), The Running Man (Paul Michael Glaser, 1987) e al celebre romanzo del giapponese Koushun Takami, Battle Royale (1999). Un’accesa polemica ha evidenziato come quest’ultimo sia estremamente simile ad Hunger Games: la Collins è stata accusata di aver preso fin troppo ispirazione da Takami. A suo tempo lo stesso Battle Royale era stato considerato un incrocio tra Il signore delle mosche e la serie britannica Survivors. Questi esempi evidenziano come il genere distopico, nel cinema e nella letteratura, si rifaccia al passato pur rigenerandosi continuamente. Suzanne Collins è stata abile nel rendere questo genere anche alla portata degli young adults, scrivendo dei libri per ragazzi che, pur mantenendo molte delle  tematiche di Battle Royale, presentano una violenza più velata. Vari autori hanno seguito la scia della scrittrice statunitense, basti citare saghe di libri (e successivamente di film) come Divergent o The Maze Runner. È innegabile il successo che la serie di Hunger Games ha avuto (e continua ad avere tuttora) con l’uscita del primo libro, rimasto nella lista dei best seller del New York Times per 92 settimane. Il clamore che ha scatenato la sua uscita ha portato la Lionsgate a farne un film. 

La regia è di Gary Ross, sceneggiatore candidato all’Oscar e regista famoso per film come Pleasantville e Seabiscuit – Un mito senza tempo. Fin dai primi minuti di Hunger Games appare chiaro come le scelte registiche di Ross siano state mirate a portare sullo schermo la narrazione in prima persona del libro. In un’intervista, infatti, ha affermato: «Uno dei fattori più importanti per me è riuscire a trasmettere immediatezza, il punto di vista che il libro esprime con la prima persona. Lo stile cinematografico deve rispecchiarlo. Avevo bisogno di dare al pubblico la straordinaria ed immediata sensazione di non star semplicemente osservando quella ragazza, ma di essere quella ragazza». Questo è evidente per la presenza di soggettive e altre strategie che restituiscono allo spettatore la sensazione di vedere e sentire quello che vede e sente Katniss. Altri elementi del film sembrano avere lo scopo di avvicinare il pubblico: i costumi (soprattutto degli abitanti di Capitol City), per esempio, sono studiati in modo da portare le persone a sentirsi legate alla realtà del film, contribuiscono a costruire una dimensione riconoscibile, non estranea o futuristica. 

Infatti, per quanto sia ambientato nel futuro, Hunger Games esplora problemi inquietanti del nostro tempo. La scelta di utilizzare il progresso dei media come parte centrale della trama (gli Hunger Games vengono trasmessi in tv e gli abitanti dei distretti sono costretti ad assistervi), avvicina il film alla nostra contemporaneità. Tutto, o quasi tutto, è ormai alla mercé dei media: sono sempre maggiori le opportunità per osservare le guerre mentre si svolgono. Con gli anni questo processo sta portando ad una desensibilizzazione della violenza. Inoltre risulta sempre più difficile credere a tutto ciò che ci viene proposto e, a distinguere cosa di quello che vediamo e sentiamo sia manipolato dai media e cosa invece no. 

Hunger Games indaga anche la divisione allarmante tra ricchi e poveri. C’è una metropoli che governa e consuma ciò che viene prodotto dai dodici distretti (ognuno con una mansione specifica). L’identità dei cittadini risiede in questo: nel lavoro che sono chiamati a svolgere per tutta la vita per far funzionare questa grande macchina produttiva che alimenta Capitol City. Solo all’interno di questo spazio assegnato si costruisce l’identità del cittadino, in maniera rigida e difficile da modificabile. È una forma di oppressione che produce una continua conflittualità. Katniss, Peeta e tutti gli altri protagonisti sono delle pedine politiche in mano ad un governo predominante che si regge sul potere decisionale di pochi. 

Con le puntuali riflessioni che genera è impossibile negare che Hunger Games funga da avvertimento o commento sulle tendenze della società contemporanea.  Un film che affronta efficacemente degli argomenti e delle paure realistiche. Alcuni la chiamano fantascienza, altri una realtà possibile. Alcuni pensano che sia una storia per adolescenti, altri la vedono alla portata di qualsiasi adulto. Quando guardiamo gli Hunger Games da parte di chi stiamo? Parteggiamo perché il nostro preferito vinca? Siamo così diversi dal pubblico di Capitol City? 


BIBLIOGRAFIA:

-Suzanne Collins, Hunger Games, Mondadori

– Emiliano Ilardi, Annamaria Loche, Martina Marras, Utopie Mascherate, Meltemi

-David Wheeler, Feminism e Post-Colonialism in Margaret Atwood’s Oryx and Crake and Suzanne Collins’ The Hunger Games, Dog’s Tail Books

-Kate Egan,The Hunger Games: Official Illustrated Movie Companion, Scholastic Inc.

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