Esordio alla regia per Daniela Porto, autrice anche del libro omonimo, e realizzato in coppia con Cristiano Bortone, Il mio posto è qui (trailer) tenta di cavalcare l’onda del film denuncia che attraverso il passato prova ad aprire gli occhi su un presente non proprio roseo. In questo caso è la storia di Marta (Ludovica Martino) a prendersi tale responsabilità. Questa, una giovane – sebbene secondo le malelingue del paese poi tanto giovane non sia – ragazza madre calabrese, ritrovatasi sola dopo la morte in guerra del padre di suo figlio, avuto ovviamente fuori dal matrimonio, viene costretta dai genitori a sposare un uomo molto più grande di lei e non proprio spinto da sogni d’amore. La tematica è chiara sin da subito: l’emancipazione femminile, la violenza di genere, le mobilitazioni politiche del dopoguerra.
Immediato risulta il confronto con il pluripremiato C’è ancora domani, un esordio anche questo, stavolta per Paola Cortellesi, che si avvicina a Il mio posto è qui non solo per la materia trattata, dunque l’emancipazione femminile in un mondo fortemente maschilista e patriarcale, ma anche per il periodo storico di riferimento: C’è ancora domani ambientato a qualche giorno dal primo seggio elettorale aperto alle donne e Il mio posto è qui nel periodo immediatamente precedente, con tutto il fermento che questo costituiva. La differenza, in termini qualitativi, con C’è ancora domani è però abissale. Marta, rispetto la Delia di Cortellesi, è un personaggio abbastanza monodimensionale per il ruolo che va a ricoprire. Sono l’ambiente, la figura della donna, il personaggio di Lorenzo (Marco Leonardi), ossia il sagrestano del parroco che spingerà Marta a capire il proprio valore, a fare da traino ad una storia che chiaramente non investe sulla protagonista tutto il proprio potenziale. Nonostante si percepisca come l’intento degli autori fosse quello di raccontare la conquista della libertà, Marta risulta quasi come una nota a margine, un piccolo esempio di emancipazione lì dove emancipazione significa comunque avere sempre un uomo a guidarti nelle scelte e a determinarle.
Centrale è quindi il rapporto tra i due. A farli incontrare è l’organizzazione del matrimonio di Marta. Lorenzo è infatti conosciuto alle giovani spose come l’uomo dei matrimoni ma viene allo stesso tempo “schifato” in paese per una vecchia accusa di omosessualità da lui mai smentita. L’amicizia tra i due non si sviluppa di certo in modo spontaneo, non solo l’incontro è forzato ma anche il legame che si svilupperà successivamente non viene giustificato a dovere, al punto da relegare Lorenzo, un personaggio che altrimenti sarebbe stato un ottimo coprotagonista, al semplice ruolo di “accompagnatore”. È lui infatti che trascinerà Marta in un mondo nuovo e diverso da quello che conosce, fatto di promesse e libertà, la libertà di poter badare a se stessa, di poter lavorare e costruirsi una vita. Ecco, sebbene potrebbe sembrare l’inizio di qualcosa di magnifico, risulta piuttosto inverosimile che nella Calabria rurale degli anni ’40 una donna cresciuta a pane e patriarcato riesca a scivolare con così tanta facilità in una nuova esistenza fatta di politica attiva, sorellanza e obiettivi da raggiungere.
La struttura de Il mio posto è qui manca non solo di basi solide ma anche di tutte quelle tappe necessarie alla costruzione di un personaggio a tutto tondo capaci di delineare un efficace arco di trasformazione. Sin dall’inizio Marta sembra lasciarsi trasportare dagli eventi attorno a lei, e per vederla effettivamente reagire e andare incontro al proprio futuro occorre attendere la quasi conclusione del film. Questa sì, arriva, ma non si sa bene da dove. La crescita e l’evoluzione del personaggio non vengono approfondite abbastanza per giustificare un cambiamento tanto repentino che, se non adeguatamente accompagnato, può risultare brusco o addirittura improvvisato, cosa che ne Il mio posto è qui sarebbe stato ormai difficile da evitare.
In sala dal 9 maggio.