Horizon – An American Saga Chapter 1, la recensione: l’alba di una Nazione

Horizon - An American Saga Chapter 1 recensione film di Kevin Costner

Ricostruire la nascita di una Nazione: questo è l’obiettivo che si pone Horizon – An American Saga (trailer), il nuovo e mastodontico progetto di cui Kevin Costner è ideatore, sceneggiatore, regista e attore protagonista. Questa grande storia americana si svilupperà lungo il corso di quattro capitoli, di cui i primi due già completati (il secondo verrà distribuito nei prossimi mesi). Si tratta di un’opera che porta sulle spalle l’intero patrimonio genetico del suo genere. Difatti, nei primi quindici minuti il film mette in campo tutti gli stilemi tipici del western in epoca classica: l’immensità della Monument Valley e la piccolezza dell’uomo che vi si avventura, la conquista della natura incontaminata nella speranza di un futuro migliore, i drammi familiari in piccole comunità in cerca di fortuna, lo scontro tra popoli diversi per il controllo di una “terra di nessuno”.

Proprio nel cuore dell’America, mentre sulla East Coast infuria la Guerra di Secessione, prende vita un racconto corale dall’intreccio complesso, che coinvolge decine di personaggi, dividendosi in quattro diversi filoni narrativi. Da una parte, la storia della giovane Elizabeth, la quale viene presa sotto la protezione dell’esercito federale, capitanato dal Tenente Gephardt (Sam Worthington) e dal Sergente Maggiore Riordan (Michael Rooker) insieme a sua madre (Sienna Miller) e a tutti i sopravvissuti dall’assedio Apache che ha sterminato il loro villaggio; dall’altra, un gruppetto di rancorosi, tra cui appare protagonista il piccolo Russell, impegnati nella ricerca del suddetto clan Apache per poter vendicare le proprie famiglie e i propri amici. C’è poi la vicenda di un cowboy, Hayes Ellison (Kevin Costner), e di una prostituta, Marigold (Abbey Lee), che si trovano a dover fuggire da una famiglia di fuorilegge per proteggere un misterioso bambino. Infine, nel mezzo del deserto si muove una comunità errante di cercatori di fortuna, che vede il suo leader in Matthew Van Weyden (Luke Wilson). Cosa accomuna questi personaggi? A quanto pare, da qualche parte nel deserto si trova un terreno promettente, Horizon, messo in vendita da uno sconosciuto impresario, su cui fondare un nuovo insediamento.

Durante il corso delle tre ore di proiezione, la storia si prende i suoi tempi, concentrandosi sugli ambienti, sulle comparse, su dialoghi apparentemente inutili, e così viene a crearsi un mondo vivo e reale, dove i personaggi provano emozioni umanamente autentiche. È ben chiaro dunque, data anche la vastità del soggetto, che il progetto Horizon si sarebbe prestato meglio ad una distribuzione su piattaforma, magari in forma seriale. Tuttavia, nel momento in cui tutti i pezzi sono sulla scacchiera, non è affatto difficile seguire le vicende dei vari protagonisti, né affezionarsi a loro; anzi, il primo capitolo di questa epopea americana, per nulla autoconclusivo, lascia lo spettatore con il desiderio di sapere di più e di ritrovare quanto prima i suoi personaggi.

Horizon - An American Saga Chapter 1 recensione film di Kevin Costner

Nonostante le premesse tipiche di un western classico e personaggi che danno l’impressione di aver già conosciuto lo spettatore in vite passate (Hayes, per esempio, nel suo rapporto con Marigold può ricordare lontanamente il Ringo di Ombre Rosse), Horizon si concede momenti di spettacolarità prettamente postmoderna, per non parlare della violenza di derivazione neo-hollywoodiana, che fa tornare alla mente la sfrenatezza di film come Il Mucchio Selvaggio o I cancelli del cielo. Inoltre, è evidentissimo il debito che Costner abbia nei confronti del cinema di Clint Eastwood, e non solo verso quello di matrice leoniana (il personaggio di Costner rivela la sua identità solo nell’ultima parte del film, somigliando all’uomo senza nome di Per un pugno di dollari). Infatti, un ulteriore richiamo all’Eastwood regista si nasconde del rapporto che improvvisamente lega Hayes al bambino da proteggere, motivo che ricalca chiaramente la vicenda di Un mondo perfetto, di cui lo stesso Costner è stato protagonista.

Dunque, all’apparenza potrebbe quasi sembrare che la prima parte di Horizon – An American Saga porti con sé cent’anni di genere cinematografico senza apportare alcuna novità. Tuttavia, bisogna chiedersi: ce n’è davvero bisogno? Il primo capitolo di quest’opera immensa, infatti, non solo è in grado di appassionare e coinvolgere fortemente ricorrendo a convenzioni di genere classiche – o, per lo meno, già viste – ma getta le basi per poter riuscire in un’impresa straordinaria: raccontare gli Stati Uniti d’America come mai nessun western ha fatto prima. Se da un lato è vero che, come sosteneva Andrè Bazin, il western è il genere americano per eccellenza, va detto che Kevin Costner dimostra l’intenzione di voler portare quest’idea all’estremo. Horizon, attraverso le vite di personaggi senza una casa, racconta la genesi di una Nazione nelle cui profondità scorrono sangue, guerra e morte. Da un lato, la guerra civile; dall’altro, le lotte per la conquista del deserto. Il bene e il male si confondono in un Paese che ha perso traccia della sua stessa Storia – Storia che forse non ha mai avuto – mentre, sulla base di conflitti dalla dubbia moralità, prendono vita i paradossi di una terra che dovrebbe rappresentare, almeno sulla carta, la patria del mondo moderno, dell’umanità rinata.

Non mancano personaggi, i più anziani, che si interrogano sul senso di tutte le lotte che pervadono il territorio americano, chiedendosi se la guerra sia davvero l’unica soluzione per il raggiungimento del progresso. Significativo, a tal proposito, è il Sergente Riordan, che fa notare ad un suo collaboratore come non importi se sulla costa orientale la Guerra Civile darà vita ad una federazione unitaria o a due stati separati: in entrambi i casi, la violenza si sposterà verso l’ovest sconfinato in un batter d’occhio, lasciando dietro di sé le tracce di civiltà distrutte.

In conclusione, il primo capitolo di Horizon – An American Saga, fornisce più domande che risposte: riusciranno i coloni a vendicare il proprio villaggio? Chi è il bambino che Hayes sta proteggendo, e perché? Gli uomini di Van Weyden troveranno una casa dopo essere sfuggiti alle torture del deserto? E soprattutto, Horizon esiste davvero? Nonostante ciò, è forte e chiaro il messaggio di speranza che permea l’opera sin dalle prime inquadrature e che si incarna nelle figure dei giovani e dei bambini: sono loro – da Elizabeth a Russell, passando per il piccolo misterioso – i veri protagonisti di questa grande storia,  garanti della possibilità di un futuro migliore per una civiltà in cerca di redenzione. Dunque, confidando che i prossimi capitoli riescano a mantenere il filo di una narrazione così complessa, non resta che aspettare e, come i personaggi messi in scena, credere in un futuro benevolo. L’orizzonte, forse, non è poi così lontano.

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