Here, la recensione: il nuovo progetto di Robert Zemeckis

here, la recensione del film

Negli ultimi anni, l’universo del cinema (e non solo) sta mostrando la propria preoccupazione per l’intelligenza artificiale. Il suo utilizzo minaccia la creatività, autorialità e unicità delle opere, rischia di sostituirsi al contributo umano. Ma non nel caso di Here (trailer). Il nuovo film di Robert Zemeckis, si presenta infatti come un progetto visionario, un’opera che porta sul grande schermo espedienti creativi inediti, un prodotto mai visto prima.

Non poteva essere scelto un titolo più idoneo: here, qui. Sì perché si capisce sin dall’inizio che l’inquadratura del film sarà la stessa, immobile, che guarda la stessa prospettiva. Eventi, luoghi e persone si alternano di fronte ad essa in un arco temporale dell’ordine di milioni di anni: dai dinosauri fino al covid. Sono tante le storie raccontate in tutto questo tempo, storie di vita, morte, nascita, famiglia e ricordo. Un’eterogeneità narrativa e contenutistica che però ruota attorno ad un unico cardine: “here”, la parola che viene ripetuta in ognuna di queste storie, ogni volta con un valore affettivo e narrativo diverso.

Il film è uno dei più attesi dell’anno che sta per venire, per due ragioni. Il primo, il cast: Tom Hanks e Robin Wright si vedono riuniti insieme al regista, ricomponendo il trio che ha dato luce a Forrest Gump. La scelta non sembra casuale: esattamente come per il pluripremiato film del 1994, la storia si svolge su un arco temporale intervallato da ellissi e flashback, dove i giovani personaggi crescono durante la storia. Ed ecco la seconda ragione: per la produzione del film è stata utilizzata la tecnologia AI di Metaphysic, grazie alla quale è stato possibile ringiovanire gli attori. Il risultato è impressionante: il Tom Hanks diciottenne è tanto verosimile a quello ottantenne, il grado di fedeltà, che spesso altrove non raggiunge sempre un risultato accurato, in questo caso si può dire che dà una grande soddisfazione.

here, la recensione del film

Ma del resto, forse non potevamo aspettarci risultato diverso da Zemeckis, il regista che ha avuto sempre la predisposizione a sorprenderci con l’utilizzo della tecnologia: basta guardare ai suoi film, da Chi ha incastrato Roger Rabbit a Ritorno al futuro, per non citare Polar Express e gli stessi risultati innovativi di Forrest Gump.

Si potrebbe forse obiettare che al di là dell’idea madre del film, quest’ultimo non dia sufficiente spazio e tempo per approfondire ciò che viene raccontato nella narrazione. Però è proprio il titolo del film a dare la risposta: il protagonista non è esattamente chi ha vissuto quel luogo, ma il ricordo che del luogo si è fatto. Un luogo che ha visto passare di fronte a sé millenni e millenni di storia, epoche che dialogano fra loro e che ricostruiscono con una fedeltà ammirevole tempi passati. Non a caso il film è ricco di chicche e easter egg che è impossibile cogliere tutte alla prima visione.

Zemeckis dà prova del fatto che a spaventarci non deve essere la tecnologia all’orizzonte, bensì, come forse non viene mai ripetuto abbastanza, l’utilizzo che se ne fa. Un conto è utilizzare l’intelligenza artificiale sui social per acchiappare migliaia e migliaia di like, un altro è raggiungere l’impossibile nel mondo della creazione, creando lavoro anziché toglierlo e omaggiando gli attori di uno dei film più amati della storia del cinema.

Al cinema dal 9 gennaio.

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