Di recente pubblicazione è il volume Harlem – Il film più censurato di sempre, scritto dal regista e ricercatore Luca Martera, pubblicato per La Nave di Teseo in coedizione con il Centro Sperimentale di Cinematografia. Il saggio indaga sulla complessa realizzazione e distribuzione del film Harlem di Carmine Gallone, film di propaganda uscito nel 1943, pochi mesi prima dell’invasione nazista nel nostro paese. In questa sede rivolgiamo alcune domande all’autore del libro.
Da cosa nasce l’idea di questo libro?
Dalla curiosità di saperne di più. Da diversi anni lavoro sui rapporti tra Italia e Stati Uniti nel cinema come nella televisione, e imbattendomi in Harlem, questo film del ’43, mi sono accorto che in alcuni libri veniva riportato il finale originale, irreperibile nelle copie in circolazione. Ne ho quindi parlato con la Cineteca Nazionale, con cui abbiamo avviato un lavoro di ricerca sulla versione originale, ed è quindi venuto fuori che il film ha subito un’infinità di censure. Verificando il numero di tagli, ad Harlem va assegnata la palma di film più censurato di sempre nel nostro paese, per colpa di una serie di contenuti razzisti e antisemiti. Ho incrociato tante di quelle fonti, provenienti anche da posti impensabili (non solo Italia, ma anche Germania, Etiopia, persino Australia), che mi hanno fatto capire quanto questo film abbia lasciato tracce ovunque.
Quali novità sono maggiormente trapelate da queste tue ricerche?
Ad esempio il fatto che alcuni campi di lavoro e internamento durante la guerra venivano usati per fornire comparse ai set cinematografici. È noto che Cinecittà fu usata come campo profughi all’arrivo degli americani, ma nel ’42 fu creato questo campo di lavoro per usare prigionieri di guerra come comparse del film. Non solo in Harlem, ma anche in Germanin, pellicola di propaganda nazista antinglese, ambientata in una giungla del Camerun, che narra del tentativo di un medico tedesco di curare alcuni africani dalla malattia del sonno, che li ha colpiti per degli esperimenti medici fatti dagli inglesi. Un film tragico e inquietante, pieno di comparse africane con gli arti deformati dai nazisti, alcuni dei quali giustiziati dopo le riprese. A confronto Harlem è una barzelletta.
Quanto ha circolato Harlem fuori dall’Italia?
Abbastanza, sia prima che dopo la fine della guerra. Con la Liberazione il film viene trasformato in un innocuo film sportivo, con censure e modifiche ai dialoghi per circa quaranta minuti. Per questo è il film più censurato di sempre. Da film di propaganda fascista/razzista diventa un film sportivo. Ma c’è qualcosa in più nella versione censurata: i neri parlano con il “raffreddore” (à la Via col vento), mentre nella versione originale no. Però nell’Italia del dopoguerra andava di moda questa caratterizzazione degli afroamericani, per cui…
Il film però è stato girato nel pieno delle leggi razziali.
Certo, è un film politico, per questo ho pensato di aprire il libro con una citazione di Luigi Freddi: <<Il film di propaganda si deve rivolgere (…) alla grandissima maggioranza degli spettatori, a quella “massa”, per intenderci, che è senza dubbio la più “sprovveduta” dal punto di vista intellettuale e culturale. Deve (…) provocare in essa un chiaro orientamento che non potrà essere maturato in sede intellettuale ma soltanto in sede sentimentale e da questa si dovrà trasferire sul piano della comprensione e della successiva decisione>>. Quando uscì al cinema Harlem creava situazioni da tifo nelle sale, esattamente come un altro film prettamente ideologico di quarant’anni dopo, ovvero Rocky IV. Quando il pugile russo gridava <<Io ti spiezzo in due!>> c’erano esaltazioni in sala a favore di Rocky che ti faceva capire che ancora nel 1985 non era cambiato granché…
Mi diverte molto la connotazione che dai di Luigi Freddi, “il ras della cinematografia italiana, il boss della Hollywood fascista, lo zar dei telefoni bianchi“.
Ma era davvero tutte queste cose, una personalità molto eclettica. Da ragazzo che usava l’ultraviolenza diventò aviatore, bombardiere, ma allo stesso tempo era un amante dell’arte e del cinema. Non a caso propose a D.W. Griffith un film su Mussolini, che rifiutò. Freddi non risparmiava elogi smisurati nei confronti del regime (“questo fascismo è una grandissima rivoluzione positiva!”), come non disdegnava rapporti con l’Unione Sovietica: aveva un’amante russa figlia di un grande tenore, che poi diventerà sua moglie.
Ultimamente ti sei dato alla caccia di un film italiano, attualmente ritenuto perduto, Piazza San Sepolcro. Ha qualcosa da spartire con Harlem?
È stato girato negli stessi mesi di Harlem, sempre in quel fatidico ’43. Era un lungometraggio di propaganda antisemita e antinglese, girato negli stabilimenti di Tirrenia, tra Pisa e Livorno. Ufficialmente è ritenuto perso, ma vari indizi mi portano a pensare che sia in giro con un altro titolo. Gli sto dando la caccia da un anno, spero che le mie ricerche portino a qualcosa. Ed è giusto che questa pellicola riveda la luce, essendo un film di propaganda su cui è molto interessante discutere.