Francois Ozon aggiunge alla sua significativa filmografia un atto d’accusa raggelante sulla piaga della pedofilia nella Chiesa cattolica. Grazie a Dio (trailer), primo film del regista ispirato all’attualità, tratta dello scandaloso caso Preynat, padre che negli anni ha perpetrato centinaia di abusi sessuali sui bambini di cui gli era affidata la guida spirituale.
Si può definire questo film Il Caso Spotligth francese, tenendo però ben presente la divergenza nella scelta del punto di vista adottato: non quello di un gruppo di giornalisti ma delle vittime stesse, costrette a farsi giustizia da sole per proteggere altri bambini dal medesimo destino di sofferenza. La rigorosa ricostruzione dei fatti alla quale Ozon si è dedicato ha influenzato totalmente la struttura narrativa, configuratasi come una destabilizzante staffetta, un passaggio di testimone che investe tre personaggi principali. Se inizialmente il film sembra ruotare totalmente intorno ad Alexandre (Melvil Poupaud), primo a denunciare Preynat, improvvisamente questa linearità si spezza e l’attenzione della cinepresa si sposta bruscamente sul fino a quel momento mai visto Francois (Denis Mènochet), altra vittima di abusi, per poi in seguito abbandonare anche lui e adottare l’ulteriore punto di vista di Emmanuel (Swann Arlaud), il più fragile di questi tre coprotagonisti, riabbracciandoli infine tutti contemporaneamente.
Ozon ha realizzato un film toccante e quasi glaciale al contempo, incisivo ma anche estremamente composto e misurato nella forma. La regia cerca di prendere il meno possibile il sopravvento e far risaltare la ricchezza della sceneggiatura e la gravità dei fatti storici, rifuggendo da qualsiasi approccio melodrammatico. Le violenze sono evocate verbalmente e suggerite dalle atmosfere inquietanti degli attimi che le precedono, ma mai mostrate brutalmente.
La sceneggiatura sfrutta i paradossi , come quello di un prete che si dichiara colpevole senza chiedere perdono e di un’istituzione che gli permette di continuare a insegnare ai bambini pur sapendo la verità. L’assurdità del tutto è espressa dal titolo stesso, che si riferisce alla sconcertante frase pronunciata istintivamente dal Cardinale Barbarin, arcivescovo di Lione, durante una conferenza stampa: “Grazie a Dio i fatti sono caduti in prescrizione”. Il 18 marzo 2019 Barbarin, accusato di aver protetto Preynat, ha presentato le sue dimissioni al Papa, ma queste non sono state stranamente ancora accettate.
Data la quantità di informazioni veritiere raccolte, Grazie a Dio è quasi un documentario sotto forma di fiction, un film il cui interesse primario è indagare la realtà e le implicazioni esistenziali connesse ad essa. Una storia di vittime e colpevoli, dove a dover fare i conti con la propria coscienza non sono solo i malati di pedofilia, ma anche tutti coloro che pur sapendo sono rimasti in silenzio, coloro che pur avendo intuito hanno preferito ignorare, a partire dagli stessi familiari delle vittime.
Protagonista assoluta è l’innocenza violata. Una purezza distrutta dalla perversione di figure maschili dall’apparenza paterna, che con la loro autorevolezza ingannano e violentano nobili creature che si fidano di loro. L’abbattimento del muro del silenzio è l’unica strada per la liberazione dello spirito. Il dolore represso brucia dentro e i ricordi divengono così una prigione interiore che si riversa sia sul benessere mentale che fisico. Non a caso l’associazione fondata dalle vittime del caso Preynat porta il nome “La Parole Libèrèe”.