#RomaFF19: Grand Theft Hamlet, la recensione del film di Sam Crane e Pinny Grylls

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Fin dalla sua creazione e dalle prime rappresentazioni nel XVII secolo, l’Amleto di Shakespeare ha goduto di immensa popolarità, dando vita a innumerevoli interpretazioni e adattamenti che l’hanno resa una delle opere più celebri e rappresentate al mondo. Proprio a causa di questa varietà di riletture sviluppatesi nel corso del tempo, non è affatto facile ripensare il capolavoro shakesperiano in modo così originale da risultare del tutto inedito.

È il 2021, la pandemia di COVID-19 ha costretto il mondo intero al lockdown. In molti, non potendo uscire, si sono rifugiati nelle realtà virtuali dei social, dei film e, soprattutto, dei videogiochi. Gli attori Sam Crane e Mark Oosterveen, sempre più frustrati dalla situazione di isolamento e precarietà, si dilettano in furti d’auto, rapine e gioco d’azzardo in quello che può essere considerato uno dei videogiochi più popolari degli ultimi anni: Grand Theft Auto Online. Proprio durante una sessione di gioco si imbattono in un teatro e da lì hanno un’idea per un esperimento bizzarro: è possibile mettere in scena l’Amleto in GTA? Grand Theft Hamlet (trailer) è dunque il documentario di tale produzione, girato interamente all’interno del gioco da Crane e dalla regista Pinny Grylls, presentato nella sezione Freestyle della Festa del Cinema di Roma.

Il modo più adatto per approcciarsi a un’opera del genere è sicuramente quello di considerarla per ciò che è, ovvero un esperimento, un processo creativo. Seguiamo quindi gli ideatori del progetto mentre esplorano la mappa del videogioco alla ricerca delle location adatte, tentano di coinvolgere il maggior numero possibile di utenti e organizzano i provini di coloro che decidono di fidarsi della produzione, dove vediamo gli avatar dai costumi più assurdi recitare alcuni dei celebri versi di Shakespeare…prima di iniziare a spararsi a vicenda. In fin dei conti, quale opera avrebbe potuto fondersi meglio con l’immaginario ultraviolento di GTA se non Amleto, tragedia sanguinaria per eccellenza? Grand Theft Hamlet è dunque una riflessione su come l’arte possa trasformarsi e adattarsi a diverse forme audiovisive, dimostrando quanto il teatro possa essere vivo, divertente e toccante se alimentato dalla creatività.

È impossibile non nutrire qualche dubbio sulla spontaneità di alcuni dialoghi o situazioni, oltre che accusare nell’ora e mezza di durata la ripetitività di alcuni momenti. Uno dei difetti maggiori, forse, è quello di non aver dedicato abbastanza spazio all’effettiva messa in scena in-game, motivo principale di curiosità per chi guarda. Tuttavia, lo spettatore può sentirsi comunque coinvolto dai linguaggi e dai comportamenti degli utenti che, improvvisati o meno, appaiono realistici. Se comunemente le realtà virtuali sono percepite come un modo per nasconderci dietro identità-avatar costruite ad hoc, l’opera dei registi sembra invece andare nella direzione opposta, mostrando come attraverso il modo in cui ci si esprime online si possa imparare a conoscere gli altri utenti – da una giocatrice transgender a un giocatore finlandese-tunisino che si presenta sempre nei panni di un alieno.

Dopo aver vinto il premio per il miglior documentario al SXSW Film Festival, il film verrà distribuito da MUBI. Un’opportunità per scoprire e appassionarsi all’assurdità di un progetto interamente messo in scena nelle strade di Los Santos, dove le riprese ci immergono nel popolare sandbox, al punto da farci abituare alle stravaganze del cast e delle situazioni. Non esente da imperfezioni, l’opera si configura come una commistione di realtà e tecnologia che, tuttavia, eleva il discorso a un livello più alto, esplorando le possibilità dell’arte di comunicare con noi, nonostante il tempo che passa e gli spazi che diventano sempre più ibridati.

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