Passa il tempo, ma film come Gli Spietati di Clint Eastwood sanno sempre essere attuali, anche a distanza di trent’anni. Il cinema si è evoluto ed è diventato via via più complesso nel raccontare le proprie storie e i propri personaggi, lasciando spesso un alone di incomprensibilità. Eastwood invece si fa portavoce di un cinema classico che a volte ci appare come remoto. La semplicità di trama e regia sono il principale strumento di richiamo al cinema americano classico, un modello che Eastwood è in grado di padroneggiare e soprattutto aggiornare ai tempi correnti.
Siamo davanti alla storia di Will Munny (Clint Eastwood), un criminale in pensione famoso per aver ucciso tante persone nella sua vita. Il suo è un viaggio di vendetta, ma anche di redenzione. Una redenzione che, all’inizio del film, sembra essersi compiuta solo a metà. Will si è sposato, ha figli e vive in una sperduta campagna, ma non sembra aver perso la voglia di uccidere. Spinto dalla ricca taglia, Will e il suo amico Ned (Morgan Freeman) partiranno alla ricerca di due cowboy colpevoli di aver sfregiato una prostituta.
La difficoltà ad uccidere e il dolore (fisico e morale) che ne consegue rappresentano il vero centro di gravità dell’opera eastwoodiana. Emblematica, sotto questo aspetto, la sequenza della morte del primo cowboy. D’altronde Will e Ned non sono più quelli di una volta, Kid (Jaimz Woolvett) è quasi del tutto cieco. Ognuno mente a sé stesso (tranne Will) sulle proprie capacità e sul proprio essere, fin quando non ci si trova davanti all’orrore della morte. Il muro di menzogne crolla definitivamente.
La menzogna è un tema secondario del film, ma non per questo meno importante. La letteratura ne è il principale veicolo di diffusione. Osservando lo sviluppo della trama nei 131 minuti di film, notiamo come la fama che precede un determinato pistolero sembri essere più importante del pistolero stesso. Non importa quanto ci sia di vero, basta che se ne parli. Almeno finchè non arriva qualcuno a smontare il castello di bugie. Fa scuola, a tal proposito, la sequenza in cui Little Bill (Gene Hackman) rivela la verità su Bob l’inglese (Richard Harris).
Gli Spietati è un film che si dimostra curato fin nei minimi particolari. Non può passare inosservata la grande attenzione che Eastwood pone nel contestualizzare la storia di Will, garantendo una forte immersività nel contesto western. Le scenografie (artificiali e naturali) unite alla presenza di case prefabbricate, indigeni e saloon, fanno sentire lo spettatore parte integrante del mondo western. A ciò si aggiunge anche la minuziosa attenzione alle battute dei personaggi, dove nessuno azzecca un congiuntivo, complice il basso livello di istruzione di quei tempi.
La semplicità dietro Gli Spietati, quindi, è solo apparente. Dietro una vicenda di redenzione e riflessione si cela una grande attenzione alle tematiche secondarie, all’aspetto fotografico e alla contestualizzazione geografica e temporale del racconto. Lo stesso vale per la colonna sonora, minimale negli strumenti utilizzati ma azzeccata per caratterizzare al meglio i momenti più emotivi.
A distanza di tre decenni il film di Eastwood si dimostra ancora profondamente attuale sotto ogni aspetto, un pregio non scontato ma meritato. Quella patina di semplicità dettata da una regia minimale lascia spazio ad un’ottima introspezione dei personaggi e a scelte mai banali nello sviluppo della storia, nonostante sia fortemente ancorata alla matrice classica. Riguardando Gli Spietati possiamo dire che Eastwood, trent’anni fa, abbia realizzato un vero capolavoro, uno dei tanti.