La storia di quattro amici (interpretati da Pierfrancesco Favino, Micaela Ramazzotti, Kim Rossi Stuart e Claudio Santamaria) raccontata nell’arco di quarant’anni, dal 1980 ad oggi, dall’adolescenza all’età adulta. Le loro speranze, delusioni, successi e fallimenti sono l’intreccio di una grande storia di amicizia e amore. È il grande cerchio della vita che si ripete con le stesse dinamiche nonostante sullo sfondo scorrano anni e anche epoche differenti.
Gli anni più belli (trailer) è un film che pecca nella prima parte di un sentimentalismo esasperante e di un’ironia mediocre e melliflua, ma che con il procedere della narrazione trova un proprio equilibrio e affina le proprie qualità formali e contenutistiche, commuovendo in modo sincero e piacevole. Dopo un’elegante inquadratura di Favino, Muccino ci immerge in un passato dinamico raccontato in maniera onestamente un po’ grossolana, con personaggi che parlano in camera senza però la grazia del cinema d’autore più sofisticato. Le caratterizzazioni dei protagonisti risultano tendenzialmente abbozzate e caricaturali, eccetto il Paolo adolescente, futuro Kim Rossi Stuart.
Metafore visive e riflessioni argute sono inserite in questo calderone revival che sfocia in un dramma nostalgico sullo scorrere del tempo e il rimorso per gli errori che ci allontanano da noi stessi e dalla felicità. Inizialmente tutti hanno le idee piuttosto chiare sul futuro che desiderano, ma poi senza neanche rendersene conto le proprie strade di vita si inabissano in disillusioni, ipocrisie e rimorsi. La necessità di sentirsi accettati e ricercare un eterno consenso si configura come una malattia esistenziale lacerante. Muccino abbraccia ancora una volta una visione nostalgica e per lo più pessimistica della vita, salvo optare per un parziale riscatto nei valori dell’amicizia, dell’affetto familiare e dell’amore. Tuttavia rimane sempre percepibile una scia di malinconia che lascia presagire ulteriori possibili disgregamenti e non ci si può non chiedere se la pace verrà ancora una volta interrotta dalla tempesta o la consapevolezza raggiunta dai personaggi li salverà da errori futuri.
C’è un momento particolarmente bello da segnalare in cui un’onda di emozioni sembra travolgere ogni cosa e riscattare definitivamente il film, esaltando il potere demiurgico dell’immaginazione e dell’arte. Una sequenza catartica che decolla sulle note sublimi della Tosca e sfreccia verso il passato riavvolgendolo come un nastro e guarendone le ferite.
La colonna sonora si avvale soprattutto di celebri canzoni pop italiane, esaltando in particolare la discografia di Claudio Baglioni, di cui sono presenti tre brani: Mille giorni di te e di me, E tu, e il nuovo singolo Gli anni più belli, dedicato ovviamente al film.
Per quanto concerne le performance degli attori, ognuno fa il proprio senza regalare niente di eccezionale, sfruttando i propri ammirevoli talenti di base ma non lasciando il segno in modo particolare. La somiglianza tra gli attori giovani e quelli più famosi della versione adulta è davvero notevole e quasi impressionante nel caso di Alma Noce e Micaela Ramazzotti, dove la prima riproduce la gestualità, dizione ed espressività dell’altra. Le interpretazioni più efficaci sono quelle di Kim Rossi Stuart e Favino, mentre il personaggio più affascinante, anche se scarsamente approfondito e non sempre comprensibile nelle scelte, è affidato alla Ramazzotti, che però questa volta rasenta troppo la caricatura di sé stessa, pur mantenendo una propria intensità.
Gli anni più belli è un progetto ambizioso, in cui sono rintracciabili molte citazioni e omaggi al cinema d’autore italiano, da Fellini a Dino Risi, per non parlare dell’ispirazione anche strutturale a C’eravamo tanto amati di Ettore Scola. Sempre in aderenza con Scola, Muccino sceglie di testimoniare, parallelamente alle storie dei personaggi, i grandi cambiamenti sociali e politici che hanno toccato l’Italia, attingendo anche a filmati di repertorio.
Una riflessione su più generazioni allo sbando, perse tra il fallimento dell’idealismo e il rifiuto del nichilismo, una fragilità e insicurezza tanto sentimentale quanto ideologica, che non si sottrae però da un desiderio di rinascita.