Nel 2019 Knives Out fu uno dei successi commerciali dell’anno. Incassò oltre 300 milioni di dollari al botteghino a fronte di un budget di circa 40, calmando un po’ le acque attorno al nome di Rian Johnson, talentuoso autore reduce dal ginepraio sollevato con Star Wars: The Last Jedi, che aveva scritto e diretto. Le barricate innalzate tra chi Johnson voleva crocifiggerlo e chi invece portarlo in gloria per aver dato una frustata al franchise di Star Wars si sono trovate più o meno tutte dallo stesso lato del campo di battaglia nel riconoscere la freschezza e l’arguzia del suo personale whodunit.
Il Benoit Blanc di Daniel Craig era un azzecatissimo corpo tra il comico e il sagace, detective divertito dal suo stesso acume chiamato a destreggiarsi nel nido di vipere di una famiglia in mezzo alla quale c’era scappato un morto. Netflix, sempre alla finestra con la sua valigetta strabordante di banconote, mangia la foglia e acquista per quasi mezzo miliardo di dollari i diritti per due sequel, mettendo in mano al regista, al protagonista e al produttore Ram Bergman una quantità di dollaroni che ci rifiutiamo di ripetere in questa sede. E quindi eccoci qui a parlare di Glass Onion (trailer), che in originale porta il sottotitolo di A Knives Out Mistery a rimarcare quella che era sempre stata l’intenzione di Johnson, ovvero di un seguito standalone scollegato dal precedente film per toni, atmosfera e personaggi. A eccezione, ovviamente, di Blanc, che torna svestito della maschera d’alta società e si mostra in tutto il suo comico potenziale.
Sono le primissime settimane di un post-lockdown da Covid-19 che Glass Onion utilizza qui e lì come carburante alla battuta («Siamo autorizzati ad abbracciarci?») e scusa per ragionare sull’isolamento del nuovo gruppo di protagonisti. Blanc è annoiatissimo, gioca ad Among Us aiutato in call su Zoom dalle ultime apparizioni dei compianti Angela Lansbury e Stephen Sondheim, e quando riceve l’invito dal miliardario dell’high tech Miles Bron (Edward Norton) per una cena con delitto non gli pare vero. Come lui, è invitato al gioco anche il solito gruppo di amici di Bron: Claire (Kathryn Hahn), governatrice del Connecticut, Lionel (Leslie Odom Jr.), scienziato che lavora nella compagnia di di Bron, Birdie (Kate Hudson), modella in declino, con la sua assistente Peg (Jessica Henwick), Duke (Dave Bautista), controverso youtuber maschilista, e la sua ragazza Whiskey (Madelyn Cline), infine Cassandra (Janelle Monáe), ex socia in affari del miliardario con il quale non scorre più buon sangue.
Vengono richiamati in ritiro sull’isola privata del magnate dove prenderà il via il gioco che li accompagnerà per tutto il resto del weekend. E non si può di certo non notare l’ironia di come una delle prime occasioni per tornare a frequentarsi e stare insieme nel periodo immediatamente successivo al picco della pandemia venga utilizzato da Glass Onion come l’occasione per tornare invece a odiarsi e ad ammazzarsi, letteralmente, a vicenda. Perché, com’è inevitabile, a un certo punto il morto ci scappa anche qui. Con un innesco differente al primo capitolo, con una miccia che arriva a consumarsi lentamente a film inoltrato.
Johnson sembra quasi prendersi un tempo del divertimento tutto suo nel dipingere le storture di una società piagata dai cliché che abbiamo imparato a conoscere (il genio forse non così genio dell’informatica, la chiacchiera da bar che ai tempi degli influencer diventa voce del popolo, ecc.), la cui percezione è rimasta amplificata enormemente dal megafono del virtuale a cui la pandemia ha costretto, tra smart working e una comunicazione, privata e pubblica, tagliata, selezionata e filtrata su misura dai quattro angoli dell’inquadratura che per diverso tempo è stata l’unica forma di prossimità all’altro.
Il ritorno all’aria aperta e al contatto con l’altro Glass Onion lo descrive quindi come lo spazio alterato e insensato (un po’ come i vari compensi del film, la “tetta d’oro” da mungere) di un’isola di Bron caratterizzata dall’iper-ricchezza, dall’iper-tecnologia, dall’iper-infantilismo (la costosissima e inutilissima macchina sul tetto ne è perfetto emblema, funzionale tanto quanto la sua miniatura porta birre che compare poco dopo). Interessante il modo in cui Johnson guardi a questo castello di carte come a una creatura affetta da un gigantismo repentino, una struttura fatta di dipendenze reciproche e di omertà di convenienza che sta in piedi in maniera precaria, che scricchiola da tutte le parti e a cui basterebbe una piccola ma decisa miccia per far deflagrare tutto quanto con la stessa rapidità con cui è bruciato l’Hindenburg.
Un’insostenibile rete di cortocircuiti sostenuta da una facciata troppo pesante, che non può non condurre alla conclusione rabbiosa e incendiaria a cui arriva un film dalla convinta identità come già lo era il primo Knives Out, costruito con efficacia sui caratteri di questo gruppo di “disgregatori”, come li chiama Bron, i primi in qualcosa, i primi a rompere le barriere, modelli ideali della distorta retorica dell’eccellenza tardo capitalista. Un intreccio che nelle sue due ore e venti di durata non perde mai un colpo, fila via pulito, ben congeniato sulla disposizione di tanti piccoli indizi pronti alla gratificante raccolta anche da parte di uno spettatore avvezzo al giallo che aguzzi occhi e orecchie. Glass Onion, che come preannuncia il titolo si stratifica di vari livelli lasciando però la risoluzione del tutto in bella vista, è un piacere da seguire e da guardare, confezionato con raffinatezza e stile anche nei sempre impeccabili costumi (Jenny Eagan) e nelle scenografie che giocano una parte attiva nel tutto (Rick Heinrichs).
E se il Knives Out originale utilizzava il genere per lanciare coltelli al cuore della famiglia borghese, e Glass Onion lo fa nei confronti dell’ipocrisia di una ipertrofica società del consumo nell’epoca dell’Internet 3.0, chissà quale rocambolesco j’accuse possiamo aspettarci dalla chiusura del trittico di Rian Johnson (le credenze, la religione?), a cui il tratto di certo non manca né tantomeno la capacità di architettare storie con caustica ironia.
Trovate il film per una settimana in cinema selezionati a partire dal 23 novembre, poi dal 23 dicembre arriva disponibile in streaming su Netflix.