Giornata internazionale della donna: i consigli della redazione

festa della donna, articolo collettivo

Per celebrare la Festa della donna, DassCinemag propone una lista di titoli da recuperare che esplorano ed esaltano il femminile nelle sue più svariate forme.

LA RAGAZZA CON LA PISTOLA (1968; Mario Monicelli)

la ragazza con la pistola, recensione

La giovane siciliana Assunta (Monica Vitti) viene rapita dal compaesano Vincenzo (Carlo Giuffré) per consumare in anticipo la prima notte di nozze. Dopo l’atto, però, Vincenzo fugge in Gran Bretagna. Assunta, ritrovatasi sedotta e abbandonata, sarà costretta a seguire il suo amante all’estero per ucciderlo, in modo da salvare il suo nome dal disonore e poter trovare nuovamente marito. Assunta inizia così il suo percorso spirituale e intellettuale che la farà allontanare sempre più dai valori siciliani nei quali credeva ciecamente. Il suo cambiamento è graduale e avviene tramite la conoscenza di vari personaggi (nel cast Stanley Baker) e il passaggio in vari paesi della Gran Bretagna. La sua emancipazione da Vincenzo sembra però apparente e sempre pronta a cedere al desiderio, che sia esso amoroso o di vendetta. Il viaggio di Assunta è un viaggio prezioso che simboleggia generalmente la libertà umana e di pensiero, nello specifico il riscatto femminile dagli ingiusti dogmi conservatori di castità e sottomissione dai quali il personaggio inizialmente parte e condivide.

Di Daniel Dellaccio.

PERSEPOLIS (2007; Marjane Satrapi)

PERSEPOLIS, RECENSIONE

La storia di Persepolis sembra, almeno sulla carta, lontana anni luce dalla nostra quotidianità: è la trasposizione dell’omonima graphic novel, autobiografia con cui la fumettista Marjane Satrapi, conservando il suo nome reale, ci narra la Rivoluzione dell’Iran, paese dove è nata e cresciuta. Il film d’animazione, di cui anche Satrapi firma la regia e la sceneggiatura, racconta la questione iraniana attraverso i suoi occhi prima di una bambina e poi di una donna, con una chiarezza espositiva e illustrativa sorprendente. Ma Marjane è prima di tutto una semplice ragazzina di Teheran che ama il rock e va alle feste di nascosto. La sua normalità ci lascia immedesimare con lei, senza farci scordare mai il contesto che vive quotidianamente. Marjane ci colpisce perché potremmo essere noi, ma non siamo noi. È espressione di una società femminile sotto oppressione, che ha visto limitati i suoi diritti da un giorno all’altro, e che quei diritti è costretta a riprendersi a piccole, talvolta illegali, dosi. Rappresenta il pericolo di ogni donna nel mondo di vedersi negata una libertà che dava per scontata. Persepolis mette in chiaro che l’emancipazione femminile è un processo costante e che noi, proprio noi nella nostra apparente normalità, dobbiamo tenerlo in vita quotidianamente.

Di Chiara Maremmani.

WOMEN TALKING (2022; Sarah Polley)

Women Talking, recensione

In una colonia mennonita il tempo sembra fermo al medioevo, le donne vivono in cucina, badano ai figli, non hanno il diritto di studiare o di partecipare alle decisioni della comunità, eppure è il 2010. Il mondo fuori è esattamente come lo conosciamo, ma le regole della colonia rispondono a canoni diversi. La comunità viene scossa da una profonda violenza quando gli uomini, con l’aiuto di tranquillanti per mucche, compiono, impunemente, stupri su donne e bambine. Alcuni aggressori vengono arrestati e, quando gli uomini si recano in città per pagare le cauzioni, le donne si radunano e per la prima volta nella loro vita, votano. Nella convinzione che andare via gli costerà il paradiso, anche le donne più obbedienti e religiose sono costrette a mettere in discussione tutto quello in cui credono. Donne, bambine, anziane. Madri, figlie, sorelle. Nessuna è immune. Women Talking parla con incredibile grazia e struggente bellezza, di violenze tanto indicibili quanto diffuse. Un feroce grido di rabbia che, con la sua semplicità, colpisce dritto allo stomaco e ci costringe a chiederci: quando arriva il momento di dire basta? E, se non per noi stesse, per chi siamo disposte a combattere?

Di Miranda Rinaldi.

THELMA & LOUISE (1991; Ridley Scott)

Thelma & Louise, film

Thelma & Louise è un film iconico che celebra l’amicizia femminile e la ricerca di libertà, perfetto da vedere in occasione della Festa della Donna. La trama segue le avventure di due donne, Thelma (Geena Davis) e Louise (Susan Sarandon), che decidono di prendersi una pausa dalle loro oppressive vite quotidiane e di partire per un viaggio on the road. Tuttavia, un evento traumatico costringe le due amiche a fuggire dalla legge, trasformando quella che doveva essere una semplice gita in un’odissea di liberazione e autoaffermazione. L’inaspettata escalation degli eventi le costringe a rivalutare le loro vite. Thelma, inizialmente timida e sottomessa, e Louise, più forte e decisa, rappresentano due lati di una stessa medaglia: la ricerca di identità e il desiderio di vivere pienamente. La fuga diventa un viaggio alla scoperta di sé, in cui entrambe, confrontandosi con le proprie paure e desideri, finiscono per abbracciare la loro libertà. Insieme, le due donne rompono le catene della società patriarcale, diventando simboli di ribellione e solidarietà. La loro storia continua a ispirare generazioni, rendendo il film un capolavoro da celebrare ogni 8 marzo.

Di Chiara Cherubini.

DUMPLIN’ (2018; Anne Fletcher)

Dumplin', recensione

Se c’è qualcosa che balza alla mente di tutti noi non appena si dice “Festa della donna”, questo qualcosa sono sicuramenti i fiori gialli della mimosa. Scommetto tuttavia che, fra tutti, pochi di noi conoscono il vero motivo per cui questa pianta è stata scelta per celebrare ed omaggiare questa giornata. Ebbene. Nel linguaggio dei fiori, la mimosa è sinonimo di forza e femminilità, unite a libertà, autonomia e sensibilità: tutte qualità che, neanche a farlo apposta, si racchiudono proprio nella parola e nel concetto stesso di «donna». Negli ultimi anni, però – dato che di donne stiamo parlando – c’è stata una regista che, più ogni altra, è riuscita a tratteggiare con vigore e delicatezza quelle caratteristiche che rendono l’universo femminile così complesso e così unico al tempo stesso. Anne Fletcher, che con il suo Dumplin’ porta sul grande schermo i disagi e le incomprensioni che si agitano nell’animo di una donna quando qualcuno – o qualcosa – si prende il diritto di farla sentire sbagliata e inadatta al contesto in cui si trova. Una storia, ma ancor di più un regalo per ricordare a bambine, ragazze e mamme quanto sia importante scovare in se stesse quel sentimento puro e potentissimo che è la sorellanza.

Di Arianna Santilli.

EMILY (2022; Frances O’Connor)

emily, recensione

In Emily, Frances O’Connor, al suo debutto come regista, dirige una coinvolgente Emma Mackey negli ampi panni ottocenteschi della scrittrice Emily Brontë. Ambientata fra le romantiche cime tempestose inglesi, la pellicola riscrive la storia personale dell’autrice, rappresentandola come una giovane fuori dagli schemi: selvaggia, a tratti nevrotica, sempre irrequieta e forte quanto i temporali sulla brughiera. Il suo carattere la porta spesso ad avere un rapporto conflittuale con la sorella Charlotte (Alexandra Dowling), incarnazione della donna di buone maniere dell’Ottocento. D’altra parte, Emily fatica ad essere compresa anche dall’universo maschile, nonostante il desiderio di soddisfare le aspettative del padre (Adrian Dunbar) e dell’uomo di cui è innamorata, il curato William Weightman (Oliver Jackson-Cohen). La sua essenza incontenibile si riversa unicamente nella scrittura, solo spazio di espressione. È qui che si rivela l’incredibile forza creativa e creatrice della donna, talvolta distruttiva quando si scopre ingabbiata dalle costrizioni della sua società. Eppure, il pensiero dell’autrice è immenso e fertile, reso accuratamente da una fotografia che fa della natura lo specchio dell’io, secondo una fallacy cara ai romantici. Il film illustra così la tensione tipicamente femminile fra voglia di nascondersi e necessità di svelarsi, proiettando questo dilemma sul grande schermo, affinché tutti possano vederlo.

Di Fabrizia Catone.

BOTTOMS (2021; Emma Seligman)

bottoms, recensione

«Scusate, le ragazze gay, brutte e senza talento possono recarsi nell’ufficio del preside?» La rivincita delle sfigate e Superbad incontrano Fight Club in Bottoms, folle teen sex comedy di Emma Seligman. Le liceali Josie (Ayo Edebiri) e PJ (Rachel Sennott), emarginate perché lesbiche, sgraziate e goffe, cercano disperatamente di attirare l’attenzione delle loro compagne eterosessuali Brittany (Kaia Gerber) e Isabel (Havana Rose Liu), di cui sono da anni perdutamente innamorate. Dopo diversi disastrosi tentativi di flirt, l’occasione perfetta per farsi notare si presenta quando Josie ferisce accidentalmente il quarterback Jeff (Nicholas Galitzine). Cercando di giustificarsi davanti al preside, spunta fuori l’idea di creare un club femminile di autodifesa. Una presunta esperienza condivisa in riformatorio, clamorosa bugia nata come scherzo, le renderebbe insegnanti qualificate. Con le sue protagoniste volgari, sgraziate, arroganti, sboccate e maldestre, Bottoms dipinge un’immagine di femminilità eterogenea, reale nella sua dimensione assurda. È un esempio perfetto di cinema femminista: evita una rappresentazione idealistica e preferisce invece raccontare di tante ragazze sgradevoli, che non camminano sulle punte ma strillano e picchiano, conquistando in un modo tutto meno che convenzionale il sistema che le ignorava o sottometteva, effettivamente uccidendolo.

Di Francesca Muroni.

THE VIRGIN SUICIDES (1999; Sofia Coppola)

virgin suicides, recensione

Il primo lungometraggio di Sofia Coppola è un perfetto esempio di come si realizza un film perfetto sia per il valore artistico che per il modo in cui tratta tematiche delicate. Infatti ne The Virgin Suicides veniamo colpiti fin dall’inizio da un’ondata di personalità, ma anche dalla direzione ben precisa presa dal film. Le protagoniste sono cinque sorelle confinate dentro casa dai propri genitori. Da questa premessa l’amore sessuale diventa per loro un desiderio irraggiungibile e soprattutto una forma di auto-liberazione. Le sorelle diventano anche le più ambite dai ragazzi della loro cittadina, dando il via a varie sequenze in cui essi pongono in modo insistente le loro avanches. La sorpresa è che nel momento giusto le sorelle riusciranno ad usarli a loro vantaggio. Kirsten Dust, che successivamente reciterà ancora con la direzione di Coppola, offre una performance attoriale decennale. Nonostante ciò, il punto di forza più grande è nella fotografia, che crea una dimensione eterea in cui i personaggi si muovono, dandoci la sensazione di star osservando immagini da un lontano e dimenticato passato. Ogni fotogramma ha qualcosa da comunicare allo spettatore. Inoltre anche la scelta di vari brani pop da inserire all’interno del film aiuta a delineare i personaggi e inserisce la musica fra gli altri strumenti attraverso cui le protagoniste riescono a riscattarsi dalla prigionia genitoriale. Per il resto, si tratta di una pellicola da approcciare senza aspettative né pregiudizi, per poterla apprezzare al 100% e ascoltare ciò che la regista vuole dire al pubblico.

Di Alessandro Giardetti.

ROSEMARY’S BABY (1968; Roman Polanski)

Rosemary's baby, recensione

Rosemary’s Baby di Roman Polanski è ormai risaputo che non sia solo un horror cruciale nella storia del genere, e in generale nella storia del cinema statunitense: come è ormai dato condiviso dopo anni di studi critici e accademici, infatti, è una delle rappresentazioni più angosciose e claustrofobiche del dolore tutto femminile del parto.  Partorire viene visto come un atto indotto dall’esterno, da una società le cui aspettative di ambizione e grandezza si riversano sul corpo della donna, costretto a dare vita ad un’aberrazione per compiacere lo sguardo desiderante maschile e sorreggere un sistema capitalista infernale. Ed è sul suo corpo martoriato, trasformato, corrotto che Rosemary cambia, si evolve e accetta (forse) la sua maternità, in uno dei finali più perturbanti e spiazzanti di sempre.

Di Gabriele Mutatempo.

DEATH PROOF (2007; Quentin Tarantino)

death proof, recensione

Cosa succede quando uno stuntman sadico e misogino prende di mira il gruppo di ragazze sbagliato? Questa la trama di Death Proof, con cui Tarantino dimostra ancora una volta che anche una storia così semplice può diventare memorabile se raccontata nel modo giusto. Progetto doppio realizzato con Robert Rodriguez, autore di Grindhouse – Planet Terror, Death Proof nasce come omaggio degli autori al cinema di exploitation e a basso costo. L’influenza è chiara non solo nei contenuti e nelle innumerevoli citazioni, ma anche nella forma, che cerca di emulare quella di quel filone, tanto caro a Tarantino, spesso vicino al cinema di serie Z. Il carisma di Kurt Russell rende indimenticabile il personaggio di Stuntman Mike, ma sono il fascino folle e la forza delle protagoniste a dare un’anima al film. Già prima Tarantino aveva regalato al cinema indimenticabili personaggi femminili: da Jackie Brown a Kill Bill, e più avanti in Inglorious Bastards, le donne nei film di Tarantino sono affascinanti e combattive, padrone della propria vita e pronte a combattere contro il destino. Death Proof non fa eccezione: è difficile non essere conquistati dalle protagoniste e dalla loro lotta per la sopravvivenza.

Di Emanuele Canonici.

LA PASSION DE JEANNE D’ARC (1928; Carl Theodor Dreyer)

la passion de jeanne d'arc, recensione

Uno dei prototipi per eccellenza di eroicità al femminile, Giovanna D’Arco, figura che ha sempre ispirato opere letterarie e cinematografiche, trova una delle sue trasposizioni artistiche più riuscite grazie al regista danese Carl Theodor Dreyer. La passion de Jeanne D’Arc è un film dallo straordinario spessore stilistico e dal contenuto morale elevatissimo, tanto più se rapportato alla data di uscita. Riconosciuto come uno dei più grandi capolavori del cinema muto, la pellicola di Dreyer segue le vicende del processo a Giovanna, la cui aura di sacralità e spiritualità è esaltata da un’innovativa regia. Attraverso inquadrature oblique e decentrate, infatti, il regista sottolinea la sua condizione di subalternità rispetto all’opprimente autorità dei giudici. La femminilità del volto di Giovanna, interpretata da una leggendaria Renée Falconetti, giova di uno straordinario lavoro di ricerca linguistico-formale: il susseguirsi di primi piani magnetici e di inquadrature rapide e serrate, unito a un montaggio dinamico, esaltano la struggente sensualità del volto di Giovanna, contribuendo in maniera esponenziale ad elevare la cifra tragica del film.  A quasi un secolo dalla sua realizzazione, la pellicola continua a testimoniare come l’eroicità di Giovanna resti un’icona senza tempo di forza e femminilità ineluttabili anche allo scorrere inesorabile delle lancette della storia.

Di Nicolò Pierro.

KILL BILL: VOLUME 1 (2003; Quentin Tarantino)

kill bill, recensione

Tra i tanti personaggi iconici che il genio di Quentin Tarantino ha portato sul grande schermo, “The Bride” di Kill Bill (V1&2) resta indubbiamente la figura femminile più memorabile della sua filmografia. La pellicola in questione, divisa in due parti distribuite tra il 2003 e il 2004, racchiude gran parte degli stilemi che hanno reso il regista americano così apprezzato e riconoscibile nel corso degli anni: dai dialoghi accattivanti e irriverenti alla violenza fumettistica trasposta magistralmente, mantenendo un altissimo livello di pathos anche quando si sfocia nell’assurdo. Grazie a una prova attoriale stupefacente, Uma Thurman inscrive la sua Beatrix Kiddo tra le protagoniste femminili più apprezzate di Hollywood, attraverso una performance che ci fa amare e temere il suo personaggio, seguendolo passo dopo passo, pedina dopo pedina, nella sua ardimentosa e mitica vendetta.  Kill Bill è un vasto contenitore che ospita al suo interno non solo sequenze d’azione spettacolari e musiche indimenticabili, ma soprattutto personaggi spietati e stratificati che permettono di interrogarci su temi universali come il dualismo dell’essere umano, la maternità e il sentimento vendicativo.

Di Damiano Franco.

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