Uno dei film più amati in assoluto di Jean-Luc Godard, Il disprezzo (1963), annovera tra gli interpreti l’italiana Giorgia Moll, oltre ai protagonisti Brigitte Bardot, Michel Piccoli e il grande cineasta tedesco Fritz Lang nel ruolo di se stesso. Moll, che nel film veste i panni di Francesca Vanini, la segretaria/interprete di un megalomane produttore interpretato da Jack Palance, racconta, a distanza di quasi sei decenni, una serie di retroscena piuttosto sorprendenti.
Come sei arrivata al film?
Me lo propose il mio agente, della Carol Levi. In realtà Godard mi aveva già notata nel film di Mankiewicz Un americano tranquillo (1958) in cui interpretavo una ragazza vietnamita che traduceva dialoghi in inglese al suo compagno americano, ed era rimasto talmente tanto colpito da quel ruolo al punto da volermi offrire questa parte più o meno simile, dal momento che Francesca Vanini, la segretaria, per buona parte delle sue scene non fa altro che tradurre i discorsi tra lo scrittore e il produttore.
Tra te e Godard che rapporto si era instaurato?
Ti dirò la verità: lui era un tipo piuttosto discreto, a tratti molto chiuso e riservato. Da una parte ero avvantaggiata dal fatto di saper parlare abbastanza bene in francese (oltre che il tedesco e l’inglese), ma dall’altra parte credo non bastasse. Sicuramente i problemi che aveva con il produttore Ponti contribuivano a renderlo ancor più chiuso. Come regista era, naturalmente, piuttosto curioso: ci dava le battute giorno per giorno assieme alla paga quotidiana, ma a volte chiedeva anche cose piuttosto assurde. In una scena avrei dovuto scendere le scale e piangere. Io ovviamente ho chiesto per quale motivo il personaggio piangesse, e lui: «ah, je ne sais pas» (ah, non lo so).
Il produttore, Ponti, veniva sul set?
Io non l’ho mai visto anche se potrebbe essere venuto nei giorni in cui io non prendevo parte al film. Il mio personaggio non compare in tutte le scene, quindi non ho seguito tutte le riprese.
E del rapporto tra Godard e i protagonisti cosa ricordi?
L’atmosfera sul set, inizialmente solare e spensierata anche per la presenza della Bardot e di Michel Piccoli, con il passare dei giorni è diventata sempre più cupa e malinconica. Evidentemente i rapporti tra cast e regista non erano così buoni. Brigitte era la più simpatica di tutti, in albergo faceva un sacco di scherzi, come il sacco nel letto… la sera dopo cena ci guidava nell’Hully-gully che ballava benissimo, era molto spiritosa, ma anche lei, giorno dopo giorno, si è incupita e ha perso quella felicità che aveva ai primi ciak. Piccoli era abbastanza tranquillo, a quei tempi poi non era così famoso. Palance, il produttore che mi sculacciava, era piuttosto appartato. Con Fritz Lang ho avuto il rapporto migliore, a parte che era questo grande cineasta che tutti conosciamo, anche per la mia dimestichezza nel parlare tedesco. Dialogavamo di tante cose, di poesia per esempio. Era una bella mente.
Come regista Godard era molto puntiglioso?
Non è facile da spiegare, era tutto così complesso e fuori dall’ordinario che non te ne accorgevi neanche se ripetevi la scena più volte, se lui fosse più pignolo di tutti gli altri.
Era faticoso recitare questo ruolo di interprete simultanea?
Più che altro era straniante, complesso. Però è stata una sfida che ho accettato volentieri. Non nascondo che avvertivo anche una certa confusione da parte di Godard come regista, ma questo forse era causato anche dalle tensioni tra lui e il produttore.
Ma di queste tensioni cosa ricordi più specificamente?
Più che tensioni, ripeto, avvertivo un’aura di tristezza che avvolgeva tutta la troupe e le giornate lavorative, nonostante i bei posti in cui abbiamo girato, Capri e Sperlonga. Tutto il resto lo abbiamo girato a Roma.
L’episodio più buffo avvenuto sul set?
Atmosfera cupa a parte, qualcosa di divertente, certo, è accaduto. C’era una scena in cui cado dalla bici, che abbiamo ripetuto spesse volte, e gli uomini della troupe riuscivano sempre a acchiapparmi con tempismo, senza farmi far male!
Immagino che, non appena uscito, non avrai apprezzato l’orribile versione italiana voluta da Ponti.
Per niente! L’avevo trovato di una noia mortale, di un’insensatezza. Il mio ruolo era totalmente snaturato nella traduzione, questa segretaria che da interprete diventa una piattola che commenta ogni frase tra Piccoli e Palance… tremendo! Di conseguenza, non l’ho più rivisto, senza immaginare che la versione francese fosse totalmente diversa. Molti anni dopo tutti iniziano a dirmi che è un grande film… allora mi sono finalmente decisa a vederlo nella versione integrale e mi sono finalmente resa conto della sua bellezza e particolarità.
Negli anni a seguire hai frequentato nuovamente Godard?
No, non abbiamo avuto più occasione di rivederci, anche perché alcuni anni dopo ho detto addio al cinema perché non mi interessavano più i ruoli che mi proponevano. Mi sono dedicata alla fotografia e ho aperto anche un negozio di erboristeria. Sono tornata al cinema soltanto nel 1984 con Tutti dentro di Alberto Sordi, unica eccezione. E ora, a distanza di decenni, considero Il disprezzo una delle cose più belle che mi siano mai capitate.