Siamo alla quarantasettesima edizione del Giffoni Film Festival per seguire le lezioni di cinema della sezione Masterclass curata da Francesco Alò e Gianmaria Tammaro. Oggi è il turno di Edoardo De Angelis che presenta ai ragazzi “Indivisibili” insieme a Marianna Fontana. “Ho deciso di fare questo film poiché è un racconto emblematico di quanto noi stessi siamo dilaniati da sentimenti che si muovono in direzioni opposte, nel caso particolare parliamo della paura e del desiderio” ci spiega “Anche se all’inizio sembrano unite in maniera inestricabile, Dasy e Viola non sono due personaggi, sono le due facce del nostro modo di essere. Noi desideriamo crescere, desideriamo il cambiamento ma al tempo stesso ne abbiamo profondamente paura, perciò le due gemelle siamesi per me non erano il racconto di due mostri, ma erano il racconto di noi stessi”. Per quanto riguarda le influenze cattoliche “sono cresciuto nell’universo cattolico e questo continua ad affascinarmi. Credo non si possa raccontare una storia ambientata oggi prescindendo dalla questione della fede e della religione” Precisa che “La religione da risposte precise, e quindi questo lascia spazio allo sfruttamento del vizio della speranza e dunque la critica sta in quel meccanismo di sfruttamento che la fede spesso copre ed altre volte addirittura esalta”.
Riguardo all’ambientazione, alla sua terra, confessa “per me quel luogo è così, quella terra è una terra stupenda, ferita, piena di cicatrici, che è come le persone che amiamo di cui non amiamo meno le cicatrici dei suoi aspetti meravigliosi. Amiamo anche la sporcizia, perché non è possibile una forma di amore selettiva se sincera”. Accenna poi il tema del femminismo e della mercificazione del corpo femminile (“c’è un amore per la dimensione dei personaggi femminili. Avrei potuto usare due attori maschi, ma ho voluto il femminile perché è in maniera più emblematica oggetto di mercificazione”), a proposito del quale cita il saggio “sulla mercificazione dell’opera d’arte” di Baudleire che sostiene “nel sistema della mercificazione dell’arte l’unica possibilità di salvezza per l’arte è di diventare più merce della merce stessa e dunque diventare feticcio.” e che “il meccanismo che volevo mettere in scena è quello di voler uscire dalla ribalta: “io non voglio più stare sotto i riflettori perché voglio essere normale”, voglio vivere al di là di quello che tu dici che io sia. Ruota tutto attorno alla questione che per eccellenza non sarà mai risolta, e cioè quella dell’Identità.”
Parlando del problema del frame occupato sempre da due persone, dichiara “più che un problema è stata proprio una bella sfida estetica che poi ha influenzato fortemente il linguaggio del film. Devo dire inoltre che è stata una sfida molto piacevole da giocare. Quando la sfida ti porta a ricercare un linguaggio nuovo è sempre piacevole.” ci rivela che tecnicamente “abbiamo sempre realizzato un piano a due e non c’era mai un primo piano completamente scevro dall’altra ragazza”. Sulla questione della sua presenza nel film “non è mai una scelta premeditata, io so quando giro il film che ad un certo punto vorrò stare in scena però non so mai quando sarà quel momento. In questo caso è stato molto forte: la scena mi ha proprio chiamato” infine ci confida “un guizzo creativo del costumista Massimo Cantini Parrini che mi ha convinto a realizzare degli abiti di diverse gradazioni di grigio: all’inizio molto brillante che pian piano si imbrunisce sempre di più, quando le ritroviamo sul letto, quando il padre gli pratica le stimmate l’abito è molto scuro. Era una soluzione alla quale non avevo pensato però è molto suggestiva, perché non si percepisce chiaramente, ma le incupisce e questo testimonia come le suggestioni passano spesso sotto il livello della consapevolezza della percezione di chi guarda”