Abbiamo assistito alla visione del film “il Permesso” di Claudio Amendola insieme ai ragazzi più preparati del Giffoni: i ragazzi della Masterclass, che dopo il film hanno riempito di domande e di riflessioni il regista. Noi eravamo lì e questo è un breve resoconto di ciò che è successo:
“viviamo di cose che ci riempiono tantissimo ma che non sempre riescono ad arrivare. Queste delusioni sono fortissime ma fanno parte del gioco.” Amendola risponde a chi gli chiede come affrontare le delusioni nel campo cinematografico, il riferimento è a “le mani forti” (del ‘97). Prosegue “voi volete fare cinema e questo è meraviglioso, però sappiate che ci sono anche tanti momenti difficili da affrontare”. Poi ci racconta la nascita della sua carriera, spiega ai ragazzi che ha cominciato a fare questo mestiere per “fare un favore a mia madre” quando non ci si preoccupava di trovare un lavoro come oggi e che “quando mia madre mi chiese di fare un provino, la prima cosa che mi chiesi fu “ma come si fa un provino?” (tutti ridono in sala) però ci andai comunque”.
Momento cruciale della sua carriera è l’inaspettato incontro con Claudio Bonivento: “avevo già fatto il trittico dei Vanzina (“Vacanze di Natale” ‘83; “Vacanze in America” ‘84 e “Amarsi un po’” ‘84) ed ero destinato ad una carriera cinepanettoniana. Mi ricordo quando una mattina mi telefonò Bonivetto, anche lui fino a quel momento aveva fatto film con Jerry Calà ed Abbatantuono, e mi propose “soldati – 365 all’alba” di Marco Risi e da lì in poi ci furono prima “Mery per sempre” e “Ultrà” che mi consacrarono ad un altro tipo di cinema. Poi arrivarono i film con Scola, Labate, Mazzacurati, e questi mi hanno dato la patente di attore di un certo tipo”.
Dal “Monnezza” a Pietro Giancona di “Mery per sempre” da Giulio Cesaroni all’ ispettore Sciarra in “domenica”; il segreto di Claudio Amendola è stato quello di aver due carriere parallele, una molto popolare costruita sugli “sceneggiati” con il padre e tantissima fiction, a quella più sofisticata, da attore impegnato “è questo che mi ha portato ad una popolarità enorme: mantenere sempre un contatto col grande pubblico, costruire con lui una sorta di rapporto da vicino di casa” e si scioglie un po’ quando ci confessa che “entrare nelle vostre case non è una cosa da fare a cuor leggero, ma bisogna farlo cercando di proporsi con autenticità”.
Ritornando al film che presenta oggi, gli viene chiesto delle citazioni che fa nel film, le più importanti sono quelle che riguardano gli spaghetti Western: “Il cinema di Leone è stato quello che mi ha formato di più. La storia di Luigi e quella di Donato (due dei 4 protagonisti del film) sono molto western e sono un omaggio a Leone.” Inoltre sul personaggio di Luca Argentero è stato fatto “un gran lavoro sul silenzio. Queste dilatazioni di tempo mi aiutano a raccontare meglio di un dialogo scritto bene”. A proposito della scelta di Argentero, dice “avevo conosciuto un Luca diverso. Luca è Torinese e mette tutto se stesso nel lavoro, inoltre sapevo che a lui avrei potuto chiedere sia l’impegno nel lavoro, che nel fisico. Poi credo che Luca stesse aspettando un ruolo come quello di Luigi e sul set era grato che gli avessi chiesto questo impegno ma allo stesso tempo era molto esigente con se stesso.”
Qualcuno apre il capitolo “samurai” e Claudio racconta: “la mia generazione, quella storia e quei personaggi un po’ gli conosce. Per me fare personaggi negativi è più stimolante di fare personaggi buoni. Ma la sfida era quella di trattare l’argomento in un momento particolarmente caldo. Quando ho finito i provini (perché ne ho fatti più di uno) ed ho saputo di essere stato preso è stato un colpo e ci ho anche un po’ pensato prima di accettare. Alla fine Samurai è uno di quei personaggi che ti danno grandi soddisfazioni, nonostante i dubbi”.
Sulla scelta di interpretare un personaggi nel film ci racconta che “nel primo film da regista (“la mossa del pinguino” 2013) non me la sono sentita di ricoprire entrambi i ruoli nonostante avrei voluto interpretare uno dei personaggi maggiori. Temevo di togliere qualcosa alla regia, per la quale avevo studiato sui set guardando e rubando ai maestri che ho avuto. Inoltre in quel momento mi sentivo pronto a fare la mia prima regia, ma non sapevo se avrei avuto l’obiettività e la capacità di dirigermi. Quando la sceneggiatura de “il permesso” era pronta il personaggio era scritto così bene che ho pensato che volevo farlo io e mi seccava farlo fare ad un altro. Però i primi tempi non è stato facile. La prima scena da attore l’ho girata lo steso giorno di una scena che avrei girato in esterna poco dopo ed ero molto preoccupato del meteo che portava pioggia. Quando recitavo però veniva sempre Francesca (Neri, la moglie) sul set, lei mi ha aiutato molto.”
Sul conciliare i due mestieri ci mette in guardia “è molto complicato, ma se si ha l’umiltà e la fiducia nel delegare alle persone che hai scelto allora hai la forza di essere attore, entrare nella parte e fare il personaggio, anche se non è una dote comune a tutti”. Sul futuro ci suggerisce di tenere a mente il nome “Nino” e ci confessa: “io non mi fermo: buttò giù, scrivo, mando, anche se non è mai semplice montare il film che vuoi fare, sono sicuro che ne farò un altro di film”