Netflix, dal primo febbraio 2020, ha reso disponibili 21 titoli dello Studio Ghibli. Uscito nel 1997 e campioni di incassi, Principessa Mononoke (trailer) è il primo lungometraggio di Miyazaki in cui vi è una massiccia presenza di computer grafica ed è inoltre tra i più violenti da lui realizzati.
La storia, incentrata sul conflitto uomo-natura, si apre nel momento in cui il pacifico villaggio di Emishi viene attaccato da un gigantesco spirito-cinghiale trasfigurato in un demone a causa della rabbia. Protagonista di questa avventura è il giovane principe Ashitaka che, dopo aver salvato il proprio villaggio dall’attacco demoniaco, si ritrova ferito e infettato dal rancore dello spirito-cinghiale. Dello spirito non resta altro che un proiettile di metallo, causa di quel rancore che lo aveva trasformato. Ashitaka, per evitare che la maledizione si abbatta anche su di lui, dopo aver consultato la sciamana del villaggio, decide di mettersi in cammino verso ovest, luogo di provenienza del demone, per poter cercare una probabile cura.
Durante il suo viaggio incontra Jiko, un monaco errante che gli confida dell’esistenza di un “Dio-Bestia” che vive ad ovest e che potrebbe effettivamente aiutarlo. Attraversando la foresta, alla ricerca di questo Dio, si trova faccia a faccia con San, detta “Mononoke”, definita dagli abitanti del luogo come “Ragazza-Lupo”. San è una ragazza allevata dalla dea-lupo Moro, protettrice del bosco, che prova un enorme rancore nei confronti degli umani a causa del loro comportamento invasivo e che per questo attacca le loro carovane.
Siamo in un Giappone che ancora deve conoscere lo sviluppo che lo ha caratterizzato nel corso della modernità. L’avventura dei nostri personaggi è incastrata in quell’età di mezzo nella quale da una parte il disboscamento toglie terreno alla magia e al mito, mentre dall’altra la natura ha la necessità di affermare il suo potere per non essere completamente spazzata via. Fin da subito, per il pubblico, è facile notare come le caratterizzazioni dei personaggi siano simbolo di quella lotta interna alla trama. Mononoke è il simbolo di quella natura profondamente radicata nell’uomo, quasi quel fanciullino che molti hanno dimenticato di possedere in vista di quella maturità che spinge l’uomo verso il progresso. Ashitaka, allo stesso modo, è colui che ha vissuto finora negli agi della modernità e che ha la necessità di conoscere quel profondo legame con la natura per poterne capire il reale valore. Gli adulti, invece, sono il simbolo di quella magia infranta e di quell’egoismo che diviene dominante nella mente umana.
La capacità di ascolto che hanno i due ragazzi è sicuramente la loro caratteristica principale. In tutta la pellicola si nota come, effettivamente, il vero problema è l’incapacità di ascoltare. Gli uomini e le donne non sentono quello che Ashitaka cerca di dir loro, esattamente come preferiscono additare come “negativamente diversa” Mononoke per la sua vicinanza con le divinità della natura. Nonostante i dubbi i due giovani riescono a superare le difficoltà e i conflitti.
Tutte le tematiche vengono fatte risaltare dalla bellezza dell’animazione. Questo film, infatti, si contraddistingue dagli altri dello studio Ghibli proprio per la presenza massiccia di computer grafica. Essa venne usata soprattutto per rispettare i tempi di realizzazione del film, ma il momento in cui si nota maggiormente il cambio di tecnica è proprio sul finale. La foresta, prima della fine del “conflitto finale”, è organica e integrata perfettamente con l’animazione delle città e dei villaggi, non si nota alcuna differenza. Successivamente, quando la pace viene nuovamente ristabilita e la natura torna a fiorire, essa appare come un vero e proprio dipinto fotografico che lentamente prende vita e fiorisce. L’occhio nota immediatamente il cambio di atmosfera e di tecnica.
L’atmosfera che viene creata all’interno del film Principessa Mononoke è quasi magica. La storia si apre con l’odio e si conclude con l’armonia, nonostante il progresso sia necessario e lentamente la leggenda cederà il posto alla storia.