I racconti di Terramare (2006, trailer) segna l’esordio alla regia di Gorō Miyazaki, figlio di Hayao Miyazaki. Il film d’animazione si ispira alle opere della scrittrice statunitense Ursula K. Le Guin, in particolare ai primi quattro romanzi del ciclo di Earthsea e, in parte, anche al manga Shuna no tabi dello stesso Hayao Miyazaki. Il film era entrato nell’officina delle idee dello storico regista già dagli anni ’80, non godendo, però, del consenso della scrittrice, la quale mutò idea soltanto nel momento in cui visionò Il mio vicino Totoro, restandone incantata. In ogni caso, non vennero comunque soddisfatte le aspettative di Le Guin, soprattutto per il fatto che il film non godette della regia di Hayao Miyazaki, ma del figlio. Inoltre, non bisogna dimenticare che proprio per quest’ultimo il film rappresentò una vera e propria sfida, non essendo ritenuto all’altezza, da parte del padre, di poter dirigere il film.
La pellicola si apre all’insegna di draghi, mari in burrasca e castelli. Un viaggio inaspettato, un mago (o meglio, un arcimago), un giovane protagonista alla ricerca di se stesso e una spada occulta non possono che evidenziare l’impostazione del classico racconto fantasy, sfociando quasi nel dark fantasy. Ad innescare l’azione sono carestie, epidemie e diverse sciagure che dilagano tra il mondo degli uomini, causate principalmente dalla rottura dell’equilibrio tra il mondo dei draghi, ai quali è attribuita la libertà (il fuoco e l’aria), e il mondo degli uomini, che invece sono legati al possesso (la terra e l’acqua). Proprio questo dettaglio ci fa comprendere che una delle tematiche fondamentali del lungometraggio è quella del rapporto tra l’uomo e la natura e di come si tenti continuamente di dominarla, di impossessarsene, per l’appunto. Ciò è testimoniato, tra l’altro, anche dalle costruzioni immense che le illustrazioni rendono perfettamente e in modo alquanto dettagliato. Ma, ancora, lo stesso mercato degli schiavi contribuisce ad enfatizzare la tendenza degli uomini ad impossessarsi di ogni elemento esistente, persino l’essere umano.
In questo senso, il film, dunque, si porrebbe in perfetta linea con le tematiche della casa di produzione e, inoltre, giustifica la presenza del mago Sparviere, un viaggiatore alla ricerca della causa dell’indebolimento delle energie presenti nel mondo (comprese le proprie). Eppure, nel corso del film tale obiettivo sembra andare a perdersi sempre di più. Quel viaggio che Sparviere avrebbe dovuto compiere si dilegua nel nulla, quasi non si comprende più l’importanza del mago all’interno della storia, se non quella di rappresentare la saggezza e la sapienza, un personaggio contro cui si scaglia lo stregone ed ombra Aracne. La sceneggiatura, dunque, lascia diversi dubbi allo spettatore, il quale viene quasi disorientato, non comprendendo il fine della storia.
Altra tematica alla quale purtroppo non viene resa giustizia è quella di chiamare le cose con il proprio nome. All’interno del film, tale possibilità si presenta principalmente quasi come una fonte di potere, di energia e, dunque, conferisce (in particolar modo ai maghi) la capacità di poter dominare ogni essere vivente, ogni fenomeno naturale, oppure, in generale, la possibilità di poter compiere atti soprannaturali. Ma anche questo aspetto viene lasciato in sospeso. Nel corso degli eventi, dunque, si tralascia tale incipit per cedere il passo alla riflessione sulla vita e sulla morte, la loro accettazione e l’importanza della vita dovuta alla presenza della morte stessa. Tale riflessione investe principalmente quattro personaggi (gli stessi che hanno anche una maggiore caratterizzazione): il principe Arren, Aracne, Sparviere e Therru. A Therru e a Sparviere viene affidato il ruolo di divulgatori della verità (come anche quello, in un certo senso di salvatori di Arren), sono gli unici in grado di comprendere la necessità di accettare la morte e di vivere la vita, assaporarla anche nelle piccole cose, aggiungendo un velo di gioia, positività e speranza all’intera pellicola. Al contrario, Arren e Aracne paiono non riuscire ad accettare la morte e, di conseguenza, peccano di cupidigia, bramando ardentemente la vita eterna. Aracne, a differenza di Arren, desidera essere immortale soprattutto per ottenere un potere personale ed eterno, sconfiggendo Sparviere. Eppure, dietro tale smania si nasconde una vera e propria paura della morte, la stessa di Arren e che inevitabilmente provoca ansia, quasi un attacco di panico.
Ed è “ansia” la parola chiave che ci permette di approfondire il personaggio di Arren. Il principe, infatti, appare essere in continua lotta con se stesso, come se avesse una doppia personalità, lacerato dall’ansia, dall’impossibilità di accettarsi e credere in se stesso e dai momenti di violenza che lo assalgono (sino ad uccidere il proprio padre: il re). Tale conflittualità è simboleggiata o ribadita dal suo sdoppiamento quando viene catturato da Aracne. La parte buona del protagonista, la sua anima, come anche la sua ombra, è separata dal corpo, non può più rientrarvi perché lì risiede il male “immesso” dallo stregone. Soltanto Therru sarà in grado di risollevare il principe dall’oblio e a riunire nuovamente i due Arren.
Chiaramente I Racconti di Terramare si concludono con un “vissero per sempre felici e contenti”, ma diversi interrogativi sono lasciati allo sbaraglio. Qual è dunque la causa dei malesseri che dilagano nel mondo? Sparviere continuerà il proprio viaggio? E i draghi? E la spada? Come mai proprio Arren ne è entrato in possesso? Ebbene, purtroppo da questo punto di vista la sceneggiatura porta con sé sin troppi vuoti che potevano essere ben approfonditi e anche estremamente interessanti.
Nonostante ciò, il film brilla di luce propria per quanto riguarda il discorso più strettamente tecnico e stilistico. I disegni sono meravigliosi e ben curati nei minimi dettagli, richiamando lo stile dello Studio Ghibli malgrado alcune piccole differenze. Ma soprattutto, essi rievocano le illustrazioni che accompagnano i libri delle fiabe, arricchendo, così, l’atmosfera magica e rendendola simile a quella dei fratelli Grimm. Menzione d’onore va alla musica. Ci si riferisce, infatti, alla tipica musica medievale o celtica che ricorda boschi fatati, laghi incantati, ma anche mercati affollati in cui si riuniscono venditori di pozioni e di libri stregati.
Il film, quindi, nel complesso risulta essere estremamente gradevole, uno strumento perfetto per allenare la propria immaginazione, significativo ed immenso nelle sue diverse possibilità. Come ogni lungometraggio sfornato dallo Studio Ghibli, è imperdibile. Vale la pena trascorrere due ore di una giornata d’estate per lasciarsi cullare da una storia in fin dei conti avvincente ed estremamente coinvolgente. Lasciatevi incantare.