È una vita in serie quella di Cassandre, protagonista del film Generazione Low Cost (qui il trailer), diretto da Emmanuel Marre e Julie Lecoustre con protagonista Adèle Exarchopoulos (La vita di Adele). Cassandre è la hostess, categoria Junior, di una piccola compagnia di volo che gira l’Europa. Il suo sogno è riuscire a lavorare per la compagnia Emirates che le permetterebbe di vedere il mondo e, cosa a quanto pare più importante di tutte, di stare diversi mesi a Dubai.
Il film si apre in una maniera che sarà paradigmatica per tutto il successivo svolgimento della storia. Il primissimo dialogo che sentiamo riguarda la possibilità di dividersi o meno in parti uguali le mance dei passeggeri di un volo. Si creano subito due fazioni: chi si rifiuta di dividere le mance in parti uguali per tenersi quanto guadagna e chi accetta. Durante quasi tutta la scena ci viene mostrato solamente il viso indifferente di Cassandre, impegnata a pensare ad altro, o semplicemente a non ascoltare quello che si sta dicendo.
Cassandre manterrà questo atteggiamento praticamente durante tutta la pellicola. La vedremo non reagire a nessuno degli eventi che le capiteranno davanti. Il problema dei licenziamenti, la necessità di combattere per migliorare la condizione dei lavoratori (evento al quale risponderà in una maniera che sintetizza perfettamente la natura del personaggio: «Sono troppo occupata per la rivoluzione»), le ore di lavoro extra, tutto sembra scivolarle addosso. Cassandre accetta passivamente quello che le capita senza interrogarsi su ciò che la circonda.
Nonostante questo, Cassandre sembra trovarsi bene nella sua condizione. Dice di avere una bella vita, di conoscere tante persone e fare ogni volta esperienze diverse. Ma basta vedere già il suo secondo volo per rendersi conto che, nonostante un lavoro che le permette di viaggiare, la sua è una vita estremamente monotona: arriva in un posto, va ad una festa, incontra qualcuno su un app d’incontri per andarci a letto, va a dormire. Questa è la vita in serie di Cassandre.
Il suo appartenere alla categoria Junior le permette di non avere un atteggiamento pienamente professionale ed ogni volta che non rispetta le direttiva della compagnia, come si fa con i bambini piccoli, se la cava con massimo una strigliata. Le cose cambiano quando le viene detto che il suo contratto di tre anni sta per scadere, e che se vuole continuare a lavorare per la compagnia deve passare alla categoria “Numero Uno”. Alla fine, anche se non lo si vuole, si è obbligati a crescere e la scelta può essere nostra o di qualcun altro.
La seconda parte del film, decisamente più lenta e meno stimolante, si concentra sul ritorno a casa della protagonista per tentare di scendere a patti con un dramma familiare. Tutta questa porzione di storia, che dovrebbe essere interessante proprio perché ci mette a contatto con la sfera privata della vita di Cassandre, il suo passato ed i suoi rapporti con la famiglia, sembra delegata ad una “introspezione pigra”, dove si crede che bastino dei lunghi silenzi ed un montaggio (volontariamente?) molto frammentato per dare profondità alla storia.
Generazione Low Cost sembra volersi aggiungere a quella scia di film che trattano delle condizioni lavorative del ceto medio, arrivando ad avere dei punti di contatto con film come Sorry, We Missed You di Ken Loach, senza però arrivare ai picchi d’intensità di quest’ultimo. Tutta la seconda sezione, incluso il finale troppo sbrigativo, lascia con la sensazione di aver dimenticato qualche pezzo lungo la strada.
In sala dal 12 maggio.