Il 1 luglio è uscita Generazione 56k (trailer), la nuova serie italiana originale Netflix prodotta da Cattleya in collaborazione con i The Jackal. La trama segue la vita di Daniel (Angelo Spagnoletti), un ragazzo sulla trentina che lavora come creativo per un’azienda di sviluppo di app e che, come tutti i suoi coetanei, utilizza quotidianamente Tinder. Un giorno si reca ad un appuntamento con una certa Magda: l’incontro va molto bene ma tornando a casa scopre che in realtà la ragazza non è quella dell’applicazione ma una sua vecchia amica d’infanzia, Matilda (Cristina Cappelli), che non vede da anni.
La storia di Generazione 56k si svolge su due linee temporali distinte, la prima ambientata nel 1998 e la seconda nel presente, mostrandoci la vita di Daniel e dei suoi amici Luca (Gianluca Fru) e Sandro (Fabio Balsamo) alle prese con la prima adolescenza.
Nella conferenza stampa di Netflix, Francesco Ebbasta, regista della serie, racconta che l’idea iniziale era quella di scrivere un romanzo che intrecciasse il tema della tecnologia con quello dei rapporti sociali: in un’epoca in cui siamo tutti connessi e a portata di “dita”, si diffonde sempre di più la paura di non essere nel posto giusto e di perdersi qualcosa altrove. È proprio per questo che Generazione 56k spinge a riflettere che forse la ricerca spasmodica dell’esperienza ci fa dimenticare che in realtà la cosa giusta per noi potrebbe invece essere proprio sotto il nostro stesso naso, invitandoci a riscoprire cosa ci fa bene davvero in un mare di possibilità.
Generazione 56k si rifà molto alla tradizione italiana dei racconti corali familiari e romantici che spesso coprono anche la storia della nazione: le scene ambientate nel passato ricostruiscono infatti la cultura del tempo con tutti i suoi simboli, il modem suggerito dal titolo, il floppy disk, i pomeriggi a giocare in strada e nei bar, il senso di amicizia e di comunità tra i ragazzini – attingendo anche da serie come Stranger Things – unendo quel senso di nostalgia e coniugandolo anche alla tradizione audiovisiva italiana parlando ad un pubblico ben distinto. Tra i titoli più citati dagli autori per quanto riguarda le ispirazioni c’è infatti Pensavo fosse amore invece era un calesse, ma soprattutto Il Postino di cui riprende alcune location e le atmosfere romantiche.
L’idea di ambientare Generazione 56k tra Napoli e Procida, per ammissione degli autori, è derivata dal cercare quel senso di comunità piccola, chiusa ma vicina alla grande città, quasi un luogo dove il tempo non fosse mai passato. La continuità tra le linee temporali è evidenziata dall’uso della stessa color correction, ma con una differenza di palette: colori pastello per il ’98 e colori della terra per il 2021, dando quella “pesantezza”, secondo il regista, che un po’ porta con sé l’età adulta.
La serie, nonostante sia essenzialmente una commedia romantica, ha come tema centrale quello della tecnologia: se il simbolo del ’98 era il 56k, il simbolo del 2021 è lo smartphone. La trama infatti si scatena a partire da un’app di incontri e già all’inizio della prima puntata si vanno a creare dei paragoni espliciti tra la comunicazione “di una volta” e quella attuale attraverso i cellulari.
Questo tipo di riflessione non è solo “interna” alla serie, ma è applicabile anche al progetto The Jackal: dopo la webserie, i cortometraggi e un lungometraggio di finzione, si esplora ora il formato seriale tradizionale Netflix in cui sembra che gli attori e lo stesso regista si trovino decisamente a loro agio, nonostante durante la conferenza stampa Fabio Balsamo abbia comunque dichiarato di dover essere comunque partito da zero per la sua preparazione attoriale, nonostante l’esperienza passata. La crossmedialità della nostra era digitale quindi si riscontra anche nel progetto nato dal web e poi approdato al cinema e alla serie tv.
Generazione 56k è una serie TV ben realizzata che riesce a riflettere sull’epoca digitale coniugando le caratteristiche del prodotto audiovisivo Netflix con la tradizione italiana e giocando con un senso di nostalgia acuito dalla colonna sonora di Michele Braga che arricchisce decisamente il racconto.