Nel 1982 Orson Welles tiene una conferenza in una scuola di cinema di Parigi. Arrivato il momento del Q&A, una voce femminile gli si rivolge menzionando alcune dichiarazioni del regista greco naturalizzato statunitense Elia Kazan. La donna non è ancora giunta a formulare la domanda, che Welles la interrompe prontamente: «Mademoiselle, you have chosen the wrong metteur en scène, because Elia Kazan is a traitor». Il genio dietro Quarto Potere sostiene la brusca asserzione affermando che Kazan ha dapprima venduto a McCarthy alcuni dei suoi colleghi più vicini e, poco dopo, realizzato Fronte del porto – oggi imprescindibile nella lista essenziale dei classici hollywoodiani – al fine, addirittura, di glorificare la figura dell’informatore. Tutto questo quando, secondo Welles, Kazan avrebbe potuto continuare a lavorare ottenendo elevati compensi anche se si fosse rifiutato di denunciare i suoi compagni. Dopo aver ricevuto un fragoroso applauso, però, il regista, ancora lievemente acceso, conclude: «I have to add that he is a very good director».
Proprio accanto a Orson Welles, Elia Kazan è stato uno dei cineasti più incisivi nella storia di Hollywood. Autore di titoli memorabili quali Un tram che si chiama Desiderio (1951) con Marlon Brando e Vivien Leigh, il sopracitato Fronte del porto (1954) con lo stesso Brando ed Eva Marie Saint, nonché La valle dell’Eden (1955) con James Dean e Julie Harris, Kazan ha consegnato ad alcune delle star più prominenti del firmamento hollywoodiano ruoli che hanno segnato indelebilmente il corso delle loro carriere. Tuttavia, è stato già con l’attecchire della Red Scare e del maccartismo negli Stati Uniti dell’immediato secondo dopoguerra che, relativamente alla controversa figura di Kazan, i traguardi cinematografici sono cominciati a passare spesso in secondo piano.
Negli anni Cinquanta Joseph MacCarthy, senatore repubblicano per il Wisconsin, indice una serie di indagini e udienze nel tentativo di smascherare la presunta infiltrazione comunista in varie aree del governo statunitense. L’atteggiamento indagatorio di MacCarthy inizia presto a venire applicato anche all’industria dell’intrattenimento, che si teme possa essere strumentalizzata a fini di propaganda filosovietica. Appositi comitati statali e alcune agenzie investigative private concorrono a redigere la Hollywood blacklist, comprendente i nomi di tutti i professionisti dello spettacolo di cui sono stati dimostrati, o anche solo sospettati, legami con il comunismo e tendenze sovversive e che, conseguentemente, non potranno più essere ingaggiati dagli studios.
Nel 1952 lo stesso Kazan è chiamato a comparire dinanzi alla House Un-American Activities Committee (Commissione per le attività antiamericane). Durante il primo interrogatorio a porte chiuse, il regista è onesto riguardo ai suoi legami con il Communist Party, ma non rivela nulla rispetto ai suoi colleghi. Finita la seduta, è però convinto che la commissione sia già in possesso dei nomi dei sospettati. Tre fattori, comunque, indurranno Kazan a collaborare con l’HUAC: le sanzioni che lo colpirebbero se venisse imputato di oltraggio a quest’ultima; la mancata vincita dei maggiori premi agli Academy Awards 1952 da parte di Un tram che si chiama Desiderio, pure risultato favorito nei pronostici; la convocazione da parte del presidente della 20th Century–Fox, che gli intima di soddisfare le richieste della commissione, se vuole che il suo prossimo progetto – Viva Zapata! (1952) – venga prodotto. Così, il regista finisce per fare una dozzina di nomi, otto dei quali sia iscritti al partito che membri del Group Theatre – compagnia di teatranti fondata negli anni Trenta a New York con lo scopo di produrre spettacoli di rilevanza sociale e della quale lo stesso Kazan faceva un tempo parte.
È proprio il periodo successivo alla denuncia dei suoi compagni che per Kazan costituisce il più artisticamente florido della sua produzione cinematografica. A quanto pare, il cineasta ha preso ispirazione dai suoi rapporti con l’HUAC, infondendo il tema del conflitto tra idealismo e individualismo in una serie di film. Prima della chiamata in giudizio, Kazan ha mostrato interesse nel curare la trasposizione cinematografica dell’opera The Hook del drammaturgo Arthur Miller, ispirata alla storia vera di un giovane scaricatore di porto italoamericano di Red Hook – quartiere di Brooklyn – che, dopo essersi apertamente schierato contro la corrotta direzione sindacale legata alla mafia, è stato trovato morto poco fuori New York. La collaborazione di Kazan con l’HUAC, tuttavia, segna l’inevitabile declino della sua amicizia con Miller, che, a differenza sua, si è rifiutato di fornire alcuna informazione alla stessa commissione.
Ne ha, invece, soddisfatto le richieste anche il giornalista e sceneggiatore Budd Schulberg, che pure sta lavorando ad una storia incentrata su un porto, la quale altresì si rifà a fatti reali che in quel periodo si stanno verificando a Hoboken, in New Jersey. Più volte Schulberg si reca sul posto, per carpire direttamente informazioni sulla vicenda e studiare modi e parlata degli operai portuali. In una di queste occasioni incontra il giovane Tony Mike, che, rifiutatosi di continuare a collaborare con la mafia locale, non ha più trovato lavoro al molo. Chiamato a comparire di fronte alla Waterfront Crime Commission, infatti, ha rivelato tutte le informazioni di cui era in possesso e denunciato tutti i responsabili di cui era a conoscenza.
Fronte del porto, che proprio oggi celebra il settantesimo anniversario dalla sua première a New York, è la decima pellicola diretta da Elia Kazan, che, dopo aver realizzato una serie di melodrammi di successo per la 20th Century-Fox, questa volta manca del sostegno produttivo da parte degli studios.
L’ex pugile Terry Malloy (Marlon Brando) ha vissuto i primi anni della sua vita in orfanotrofio, per poi essere preso sotto l’ala protettrice del locale boss mafioso Johnny Friendly (Lee J. Cobb). Mentre l’istruito fratello Charley (Rod Steiger) svolge per Friendly prevalentemente attività da contabile, Terry viene trattato come niente più che uno scagnozzo senza cervello. Il film si apre con il protagonista che, con il pretesto di restituirgli uno dei suoi amici alati, induce il buon Joey Doyle, amato da tutti al molo, a salire sul tetto del palazzo in cui abita, laddove accudisce i suoi piccioni. Convinto com’era che i suoi compagni non avrebbero fatto altro che parlare con Doyle, Terry è assalito da un grosso senso di dispiacere e rimorso nello scoprire che, in realtà, il piano del suo boss era sin dal principio quello di porre fine alla vita del giovane uomo, decisosi a rivelare alla Waterfront Crime Commission informazioni compromettenti sull’organizzazione mafiosa.
Come emerge dai successivi sviluppi di trama, per cui lo stesso protagonista finisce per essere citato in giudizio dalla commissione, il personaggio di Terry Malloy, oltre a ricalcare evidentemente la figura di Tony Mike, richiama lo stesso Kazan e la problematica vicenda giudiziaria che lo ha coinvolto. Fronte del porto, nel suo complesso, può essere infatti letto come un tentativo da parte del regista di giustificare la sua attività da informatore. Un punto d’intersezione tra il viaggio interiore di Terry nel film e l’esperienza emotiva di Kazan nel periodo intorno alle due udienze con l’HUAC è individuabile nel conflitto tra due valori fondamentali: la lealtà verso la propria comunità di provenienza e la moralità insita nel denunciare gli atti meschini perpetrati da questa stessa comunità – anche se, di certo, non è stato morale da parte di Kazan fornire alle autorità i nomi di artisti che, come molto probabile, si limitavano a manifestare una certa preferenza politica piuttosto che un’altra. Entrambi, comunque, Kazan e Terry, finiscono per tradire il primo principio, quello della lealtà, e nelle parole di sfogo che lo scagnozzo rivolge al suo vecchio boss nella parte finale del film – «And I’m glad what I done to you, ya hear that?» – risuona la voce dello stesso regista.
La discutibilità, sul piano etico, della decisione di Kazan di rivelare informazioni compromettenti sui suoi compagni risulta, però, nettamente mitigata nel personaggio di Malloy, che manifesta addirittura connotati cristologici. Tutto Fronte del porto, del resto, è disseminato di motivi narrativi e iconografici ripresi dalla simbologia cristiana. Rimanendo sul piano del racconto, Terry non potrebbe giungere, verso il finale del film, a compiere la sua effettiva svolta verso la moralità senza che prima abbia incontrato l’angelica Edie Doyle (Eva Marie Saint) – sorella di Joey cresciuta dalle suore, aspirante insegnante e donna amata da Malloy – e Padre Barry (Karl Malden) – parroco del quartiere che, in un primo momento limitandosi a benedire i loro corpi già privi di vita, diviene poi voce della coscienza e guida degli operai del porto verso la loro liberazione dal giogo di Friendly.
Tra i personaggi chiave della pellicola, Edie è l’unica donna. La sua presenza in scena viene immediatamente percepita come portatrice di eterea bellezza e spiccata sensibilità, soprattutto se messa a confronto con i robusti scaricatori di porto da cui è circondata, contraddistinti da modi non propriamente raffinati. La qualità morale che più definisce il personaggio di Edie è l’inscalfibile senso di devozione che nutre verso la sua famiglia. In nessun punto del film la sua determinazione nel voler scoprire la verità sulla morte del fratello vacilla. Edie, inoltre, è il personaggio con cui più di qualunque altro Terry condivide la scena. Ad ogni incontro tra i due la distanza che li separa, in termini di educazione e temperamento, ma anche fatta di lutto e senso di colpa, si accorcia un po’ di più, sino ad arrivare alla culminante scena al bar, circa a metà film. Una lineare e rapida successione di primi piani cattura la dialettica tra attrazione e resistenza ad essa, desiderio e lieve disprezzo, che Saint e Brando cristallizzano magistralmente. Ed è qui che avviene uno degli scambi di battute più significativi del film: Edie: «Isn’t everybody part of everybody else?» Terry: «You really believe that drool?» Le parole di Edie, frutto del suo ingenuo idealismo, preparano il terreno per il sacrificio di cui Terry non si rende ancora conto di essere capace.
È ancora una volta Edie a spingere all’azione l’altro personaggio cardine di Fronte del porto, Padre Barry. Poco dopo la tragica morte di Joey Doyle, il parroco, giunto sulla scena del presunto incidente, consola la sorella del defunto dicendole che, semmai avrà bisogno del suo aiuto, lo troverà in chiesa. Edie, colta da un’esplosione di rabbia, risponde: «Did you ever hear of a saint hiding in a church?». È solo a questo punto che Padre Barry comincia a predicare, non più soltanto fra le mura della chiesa, ma anche lì fuori, nel mondo reale, che sia nel bar del boss, al molo o sulla collina che vi si affaccia. Barry comincia a rivolgersi direttamente ai lavoratori del porto, spronandoli a rompere finalmente il loro silenzio rispetto ai misfatti di Friendly e compagni, perché nessuno debba più morire nel modo in cui è morto Doyle.
In un primo momento, gli sforzi del prete in questa direzione faticano ad ottenere risultati. Per gli operai, infatti, il restare deaf-and-dumb (‘sordi e muti’) ha il valore imperativo di un codice sociale non scritto. Il potere persuasivo di Padre Barry, d’altra parte, agisce con maggiore velocità nel caso di Malloy, al quale basta ricordare che «what’s ratting to them is telling the truth for you» per sciogliere in lui l’ambivalenza morale che a lungo l’ha tormentato.
All’interno del limitato microcosmo del molo, un immediato capovolgimento di potere si realizza quando Terry decide di posizionarsi sul versante della moralità. Con un singolo monumentale atto di ribellione, l’ex pugile dà voce ai sentimenti cronicamente repressi di tutti i lavoratori del porto. Ed è così facendo che il personaggio di Malloy si definisce come figura cristologica, ponendo il senso di moralità individuale al di sopra della lealtà corrotta.
Nella memorabile scena finale di Fronte del porto, Terry confronta apertamente Friendly sulla banchina, per poi venire assalito da un gruppo di scagnozzi. Incoraggiato, anche stavolta da Padre Barry, Malloy, dolorante e con il volto che gronda di sangue, si risolleva a fatica e comincia lentamente a camminare verso l’ingresso della stiva della nave da carico. Mentre anche gli altri operai iniziano, un po’ per volta, ad avanzare dietro Terry, riprese con macchina a mano mostrano il suo punto di vista vertiginoso e traballante, con la colonna sonora di Leonard Bernstein a restituire alla scena il dovuto pathos. Malloy, e con lui i lavoratori di cui è divenuto ormai leader, non attenderanno più che sia Friendly a consentire loro di lavorare o meno.
SITOGRAFIA
Dessem M., Longworth K., “I’m Glad What I Done!”. Elia Kazan, On the Waterfront, and the blacklist, in «Slate», https://slate.com/culture/2016/05/elia-kazan-on-the-waterfront-and-the-blacklist
Smith W., The Director Who Named Names. Reconsidering the legacy of Elia Kazan, in «The American Scholar», https://theamericanscholar.org/the-director-who-named-names/
Almereyda M., On the Waterfront: Everybody Part of Everybody Else, «The Criterion Collection», https://www.criterion.com/current/posts/2663-on-the-waterfront-everybody-part-of-everybody-else
How Does “On The Waterfront” Use Christian Symbolism And Imagery?, «The Take», https://the-take.com/watch/how-does-on-the-waterfront-use-christian-symbolism-and-imagery