Occhiali tartarugati, caschetto spettinato, stivali da cowgirl, voce rauca e gestualità esagerata sono solo alcuni dei tratti distintivi di Fran Lebowitz, poliedrica scrittrice (in preda da anni da un blocco dello scrittore), umorista ma soprattutto intellettuale americana approdata a New York City dal New Jersey agli inizi degli anni ’70.
“Cosa diresti alla te ventenne di quando è arrivata a New York?” le chiedono. “Di portare dei soldi”. Risponde lei e ride.
Basta solo questo per dare anche il minimo accenno del personaggio che ci si accinge ad incontrare in Fran Lebowitz: una vita a New York (trailer), ultimo lavoro del rinomato Martin Scorsese e, invero, non il primo interamente dedicato a questa forza della natura; i due avevano già avuto modo di lavorare insieme per un simile documentario, Public Speaking, prodotto dalla HBO nel 2010. E se tanto è stato lo stupore nel vedere il ritorno inaspettato del duo sui piccoli schermi, proporzionale è stato l’entusiasmo di poter, ancora una volta, perdersi tra le ironiche, ciniche e anticonformiste parole della Lebowitz (a cui immancabilmente seguono le fragorose risate di Scorsese stesso mentre la intervista) capace di stare al centro di 7 episodi per un minutaggio totale della docuserie di 3 ore e mezza, nella maniera più disinvolta e brillante possibile.
Quella che parte come una trasposizione della vita newyorkese filtrata attraverso gli occhi della protagonista – in questo senso, risulta sicuramente più funzionale il titolo in lingua originale Pretend It’s a City – diventa poi una trasposizione della vita in senso più ampio che vede la Lebowitz spaziare dai discorsi sul sistema di trasporto pubblico (“Lascia che ti dica cos’è che puzza nella metro L: i passeggeri!”), ai soldi (“Io odio i soldi. Ma amo le cose.”) ai libri (“Non riesco proprio a buttare via un libro, è la cosa che più assomiglia per me a un essere umano.”). Il tutto lo fa con il solito stile imbevuto di ironia che l’ha sempre contraddistinta e per cui milioni di persone pagherebbero prezzi esorbitanti per starla e sentire. D’altronde, Fran Lebowitz è la stessa persona che sceglie di non possedere un computer e uno smartphone, motivo per cui afferma di essere l’unica persona in tutta a New York a vedere realmente dove va mentre cammina perché non con gli occhi incollati su uno di quei “modern device”.
Ancora, è proprio in questa sede che meglio racconta il suo arrivo a NYC negli anni ’70, quando pur di guadagnare il minimo sindacale, nell’attesa di cominciare a scrivere e pubblicare il suo primo libro Metropolitan life (1978), lavora come tassista, donna delle pulizie nelle case dei ricchi, venditrice ambulante, cambiando lavoro in media ogni settimana in cerca sempre di uno che potesse piacerle di più fino a giungere a un’unica drammatica conclusione: “[…] tutti i lavori mi facevano schifo, non mi piace lavorare, il mio lavoro ideale sarebbe stare sul divano a leggere ma non credo che nessuno ti paghi per fare quello”.
Eppure, dietro quei grandi occhiali e le camicie maschili, da Fran Lebowitz: una vita a New York ci si può tratte un insegnamento di vita, se vogliamo: questa donna immensa è stata capace di non tradire mai le sue idee nemmeno in settant’anni come questi ultimi, pieni fino all’orlo di mutamenti, lotte e contraddizioni, ed è probabilmente da questo che scaturisce l’immenso fascino e potere evocativo della stessa: Fran Lebowitz è tutto ciò che noi non siamo e che vorremmo essere, per cui in un universo ideologico tanto materiale come quello corrente, lei afferma che i soldi l’hanno niente più che “terrorizzata”, è consapevole di irritare non poca gente con i suoi discorsi che comunque non smette di pronunciare, pur impegnata in lotte sociali dalle tematiche preponderanti come il femminismo, l’omosessualità, l’HIV non considera se stessa un’attivista, o almeno “non nel modo in cui viene inteso oggi l’attivismo”, è una donna che combatte per l’anticonformismo discostandosi da qualsiasi tipo di associazionismo o movimento e rimanendo salda unicamente a se stessa. Sono tutti questi punti di forza di un grande essere umano di cui non si può non innamorarsi.
Sfortunatamente, ogni tentativo di invito o persuasione ad ascoltare le parole di Fran Lebowitz risulterebbe se non vano, quantomeno riduttivo rispetto alla grandezza effettiva di questa donna. Ciò che ci rimane, dunque, è semplicemente perderci ancora una volta (e chissà che Scorsese non voglia farci un regalo simile in futuro non troppo lontano) nella mente di questo genio bisbetico inarrestabile.